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Burundi   versione testuale

Popolazione: 10.395.931
Superficie: 27.830 km²
Capitale: Bujumbura (605.000 ab. / 2011)
Moneta: Franco del Burundi
Lingua: kirundi, francese
Religione: cattolici 65%, non religiosi/atei 18,7%, musumlmani 10%, altre religioni 6,3%.
Nel diciannovesimo secolo il territorio attualmente corrispondente al Rwanda e al Burundi cadde nella sfera di influenza prima della Germania e poi del Belgio. Le comunità che popolavano tali aree erano linguisticamente e culturalmente omogenee, anche se separate in diversi gruppi: gli Hutu, i Tutsi e gli Twa. I primi due gruppi erano molto diversi nell’aspetto esterno, anche se l’ordine sociale non era basato sull’appartenenza razziale: agli Hutu era concesso di “divenire” Tutsi attraverso meccanismi di promozione sociale. Sia i tedeschi che soprattutto i belgi, sfruttarono a loro favore le divisioni sociali interetniche, privilegiando i Tutsi nell’assegnazione dei ruoli di responsabilità politica e amministrativa.
Il Burundi raggiunse l’indipendenza nel 1962 e divenne una monarchia governata dal re Tutsi Mwami Mwambutsa IV. L’amministrazione statale fu affidata all’Uprona (Union pour le Progrés National), un partito strettamente collegato alla monarchia Tutsi. Il predominio Tutsi nell’apparato statale fu messo a dura prova nel 1965 da una rivolta militare Hutu, poi schiacciata dal regime. Seguirono dure ritorsioni militari contro la popolazione Hutu e operazioni di pulizia etnica tra le fila dell’esercito.
Nel 1966, la monarchia fu abolita da un colpo di stato e fu imposto da parte dell’esercito un regime militare di composizione Tutsi. Tale regime mantenne il potere dal 1966 al 1993, attraverso forme violente di soppressione dei dissidenti e massacri di larga scala di persone Hutu, soprattutto dal 1970 al 1980. Il regime militare riuscì in questo modo a conservare il potere e a fare in modo che tutte le posizioni di potere fossero attribuite alla minoranza Tutsi. Allo scopo di minare dal basso ogni voce di dissidenza su base etnica, il regime Tutsi giunse al punto di negare l’esistenza di gruppi etnici nel Burundi, avvolgendo di tabù l’intera materia.
Nel 1988 ebbe luogo un altro genocidio di Hutu, effettuato questa volta con armi pesanti, bombe incendiare e appoggio degli elicotteri mi- litari. Si ebbero 20.000 morti in 48 ore. Il governo al potere ne risultò squalificato agli occhi della comunità internazionale, e per riacquistarne la fiducia dette l’avvio a un processo di democratizzazione.
Nel 1990 il Burundi avviò un processo di democratizzazione, che si accompagnò tra il 1991 e il 1992 all’insorgere di un forte conflitto interno tra il Palipehutu (Parti pour la libération du peuple Hutu, Party for the Liberation of the Hutu People) e il governo in carica. Il processo di democratizzazione culminò con le elezioni politiche del 1993, che sancirono l’elezione in qualità di presidente di Melchior Ndadaye, un esponente Hutu del Frodebu (Front democratique de Burundi, Burundian Democratic Front). Solo pochi mesi dopo la sua elezione, Ndadaye fu ucciso da membri dell’esercito e una ampia ondata di violenza avvolse il paese. Migliaia di Tutsi furono uccisi da attivisti del Frodebu, mentre l’esercito si rendeva protagonista di eguali atti di violenza a danno degli Hutu.
Nel 1994, un tentativo di governo congiunto Uprona-Frodebu fallì nel suo tentativo, sprofondando il governo di predominio Tutsi in una situazione di grave crisi, a causa dell’azione interna di opposizione portata avanti da vari raggruppamenti di etnia Hutu, tra cui soprattutto il CNDD (Conseil national pour la défense de la démocratie) e il Palipehutu-FNL (Parti pour la liberation du peuple Hutu-Forces nationals de libération). Il conflitto è imperversato dal 1994 al 2008, allorquando l’ultimo gruppo armato in attività decise di essere coinvolto nelle trattative di pace. Già all’inizio del 2000 la maggioranza dei gruppi ribelli aveva accettato di essere coinvolto nel percorso di pace e aveva sottoscritto il trattato di Arusha, nel quale si prevedevano ampie riforme sociali, dell’esercito e nuove elezioni democratiche.
Le elezioni del 2005 sfociarono nell’elezione di Nkúrunziza in veste di presidente di un governo fondato su base inter-etnica. Nel 2015, il presidente Nkùrunziza annunciò di volersi candidare per un terzo mandato (terzo mandato vietato dalla Costituzione). Questa candidatura fece esplodere forti proteste di piazza, represse con violenza dal regime in carica. Le elezioni presidenziali del 2015, fecero sprofondare il paese in una grave crisi politica. A metà maggio, le autorità burundesi sventarono un tentativo di colpo di stato e soffocarono delle manifestazioni nella capitale, Bujumbura. Il partito del presidente Nkùrunziza vinse le elezioni, con 77 dei 100 seggi dell’assemblea nazionale.
A causa dello “stato di violenza e brutalità” del paese, nel 2016 circa un migliaio di persone al giorno fugge, oltre il confine con la Tanzania, raggiungendo gli altri esuli in Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo. 
Venerdì 18 Maggio 2018