È preferibile la pace alla vittoria
Riflettano i buoni se veramente spetti loro godere della vastità dell’impero. Fu infatti la malvagità di coloro contro cui si è fatto guerra che cooperò alla crescita dell’impero: sarebbe certo ancora piccolo, se la tranquillità e la giustizia dei popoli vicini, evitando ogni offesa, non avesse mai fornito esca alla guerra. In tal modo la situazione politica sarebbe più felice, e tanti piccoli regni godrebbero di concorde vicinato; così ci sarebbero nel mondo molti regni di varie genti, come in una città ci sono molte case di singoli cittadini. Pertanto far guerra e dilatare l’impero assoggettando le genti, è considerato una gioia dai cattivi, dai buoni invece una necessità. Solo perché sarebbe peggio che gli ingiusti dominassero i giusti, si può ammettere che anche questa sia felicità. Ma, senza dubbio, è una felicità maggiore avere dei vicini buoni e concordi, che soggiogare in guerra i vicini cattivi. È un desiderio cattivo desiderare di trovare chi ti odia o chi ti incute timore per poter avere così chi vincere.
(Agostino, La città di Dio, 4,15)
La pace è concordia ordinata
La pace del corpo è la complessione ordinata delle sue parti. La pace dell’anima irrazionale è l’ordinata calma degli appetiti. La pace dell’anima razionale è l’ordinato consenso della conoscenza e dell’azione. La pace tra il corpo e l’anima è la vita ordinata e il benessere fisico. La pace tra l’uomo mortale e Dio è l’obbedienza ordinata nella fede sotto la legge eterna. La pace tra gli uomini è l’ordinata concordia. La pace della casa è l’ordinata concordia dei coabitanti nel comandare e nell’obbedire. La pace nella città è l’ordinata concordia dei cittadini nel comandare e nell’obbedire. La pace della città celeste è l’unione ordinatissima e armoniosissima nel godere Dio e nel godersi a vicenda in Dio. La pace di tutte le cose è la tranquillità dell’ordine. L’ordine è la disposizione di realtà uguali e disuguali, attribuente a ciascuna il suo posto.
(Agostino, La città di Dio, 19,13)
L’occhio fisso sulla pace di Dio
La voce di Cristo, voce di Dio, è pace e invita alla pace. Dice: “Suvvia! Voi tutti che ancora non godete della pace, amate la pace! Cosa infatti potete attendervi da me, che sia più prezioso della pace?”. Cos’è la pace? L’assenza di guerra. E che vuol dire assenza di guerra? Uno stato in cui non c’è contrasto, né resistenza, né opposizione… Tuttavia, supponete un uomo che non incontri tentazioni nella sua carne, tanto che si possa dire di lui che già si trova nella pace. Ammettiamo che non abbia a sperimentare tentazioni da parte di voglie illecite; certamente però egli ne subisce le suggestioni. Si sentirà incline a cose che disapprova o proverà del gusto per le cose da cui si astiene. Ma, anche escludendo ogni gusto per quello che è illecito, avrà però, quanto meno, da lottare ogni giorno contro gli stimoli della fame e della sete. Quale santo infatti non esperimenta tali necessità? Combattono dunque contro di noi la fame e la sete, la stanchezza del corpo, la voglia gradita di dormire e la stanchezza. Vorremmo stare svegli e ci viene sonno. Vorremmo digiunare ed ecco la fame e la sete. Ci piacerebbe stare in piedi e ci sentiamo stanchi. Ci mettiamo a sedere e, se va per le lunghe, alla fine non ne possiamo più. Ci facciamo delle provviste allo scopo di sostentarci, e anche in esse riscontriamo che sono destinate a svanire. Eccoti uno che viene a dirti: Hai fame? Gli rispondi: Sì, ho fame. Ti mette allora dinanzi il cibo che ti aveva preparato per rifocillarti. Provati a mangiare senza fine! Volevi ristorare le tue forze: seguita allora! A lungo andare, quanto ti era servito a ristoro, alla fine ti causerà nausea e stanchezza. Eri stanco per il troppo stare seduto. Ti alzi, ti metti a camminare e te ne viene un sollievo. Provati a continuare un bel pezzo in ciò che ti ha procurato sollievo. Passeggiando molto tempo, alla fine ti stanchi e senti voglia di metterti daccapo a sedere. Trovami dunque qualcosa che era destinato al tuo ristoro e che, se ti ci dilunghi, non abbia a causarti stanchezza. Che pace potrà dunque essere quella che hanno gli uomini quaggiù sulla terra, combattuti da tante molestie, cupidigie, miserie e fragilità? Non è vera pace; non è pace perfetta… Difatti, finché dura la mortalità, come può aversi pace completa? È dalla morte che ci viene la stanchezza che riscontriamo in tutto ciò che è destinato a sostenerci: dalla morte, poiché portiamo con noi un corpo mortale, che anzi l’Apostolo osa chiamare già morto anche prima della separazione dell’anima. Dice: A motivo del peccato il corpo è morto (Rm 8,10). Usa pure di tutto quello che può donarti vigore: morrai lo stesso. Insisti nel mangiare: l’ingordigia ti ucciderà. Prolunga i tuoi digiuni: morrai sfinito. Sta’ seduto, tanto da non alzarti mai; finirai col morirne. Mettiti a passeggiare e non sederti mai: finirai col morirne. Veglia senza interruzione di sonno: ne morrai. Dormi senza interruzione: la morte ti verrà dal troppo dormire. Ma quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria, tali miserie non ci saranno più e la pace sarà assoluta ed eterna… Ci sarà allora tra i figli di Dio una pace perfetta. Essi si ameranno scambievolmente tutti, riscontrandosi tutti ripieni di Dio, il quale sarà tutto in tutti. Avremo una comune visione: Dio. Avremo un comune possedimento: Dio. Avremo una pace comune: Dio. Qualunque cosa ci conceda egli adesso, lassù, in luogo delle svariate cose che ora ci dona, avremo lui stesso. Sarà lui la nostra pace piena e perfetta.
(Agostino, Esposizioni sui Salmi, 84,10)