Pacem, Dei munus pulcherrimum (Benedetto XV – 1920)


Benedetto XV
  
Pacem, Dei Munus Pulcherrimum
 
Una vera pace è fondata sulla riconciliazione e sulla carità
 
1. La pace, gran dono di Dio, di cui – come dice S. Agostino – nessuna tra le cose mortali è più gradita, nessuna è più desiderabile e migliore (1); la pace per più di quattro anni così vivamente implorata dai voti dei buoni, dalle preghiere dei fedeli e dalle lagrime delle madri, finalmente ha cominciato a risplendere sui popoli, e Noi per i primi ne godiamo. Senonché troppe ed amarissime ansie conturbano questa gioia paterna; poiché, se quasi dovunque la guerra in qualche modo ebbe fine e furono firmati alcuni patti di pace, restano pur tuttavia i germi di antichi rancori; e voi comprendete, o Venerabili Fratelli, come nessuna pace possa aver consistenza né alcuna alleanza aver vigore, quantunque escogitata in diuturne e laboriose conferenze e solennemente sanzionata, se insieme non si sopiscano gli odi e le inimicizie per mezzo di una riconciliazione fondata sulla carità vicendevole. Intorno a questo argomento adunque, che è della più alta importanza per il bene comune, vogliamo Noi intrattenervi, o Venerabili Fratelli, e nel tempo stesso mettere in guardia i popoli che sono affidati alle vostre cure.
 
Azione senza sosta del Papa per la ricerca della pace
 
2. Veramente fin da quando per arcano disegno di Dio fummo assunti a questa Sede di Pietro, mai Noi abbiamo tralasciato, finché divampò la guerra, di adoperarci senza sosta affinché tutte le nazioni del mondo riprendessero tra di loro al più presto cordiali relazioni. Perciò non cessammo di pregare, di rinnovare esortazioni, di proporre vie di accomodamento, di esperire insomma ogni tentativo per vedere di aprire, col divino aiuto, una qualche apertura ad una pace che fosse giusta, onorevole e duratura; e frattanto rivolgemmo ogni Nostra paterna premura per lenire ovunque quel cumulo immenso di dolori e di sventure d’ogni sorta che accompagnavano l’immane tragedia. Orbene, come fin dall’inizio del Nostro laborioso Pontificato la carità di Gesù Cristo Ci indusse ad adoperarci sia per il ritorno della pace, sia per mitigare gli orrori della guerra, così ora che una qualche pace è stata finalmente conchiusa, egualmente è la stessa carità che Ci spinge ad esortare tutti i Figli della Chiesa, o meglio, tutti gli uomini dell’universo, perché vogliano deporre gli inveterati rancori e dar luogo al reciproco amore ed alla concordia.
 
Il messaggio del Cristianesimo è stato chiamato “Evangelo dl pace”
 
3. Non occorre che Ci dilunghiamo troppo a dimostrare come l’umanità andrebbe incontro ai più gravi disastri, se, pur essendo conchiusa la pace, continuassero tra i popoli latenti ostilità ed avversioni. Non parliamo dei danni di tutto ciò che è frutto della civiltà e del progresso, come dei commerci e delle industrie, delle lettere e delle arti, le quali cose fioriscono soltanto in seno alla tranquilla convivenza dei popoli. Ma, ciò che più importa, ne verrebbe colpita la vita stessa del cristianesimo che è essenzialmente fondato sulla carità, essendo chiamata la predicazione stessa della legge di Cristo “Evangelo di pace” (2) . Infatti, come voi ben sapete e più volte Noi abbiamo già ricordato, nessuna cosa fu così spesso e con tanta insistenza trasmessa dal divino Maestro ai suoi discepoli, quanto questo precetto della carità fraterna, come quello che in sé racchiude tutti gli altri e Gesù Cristo chiamò nuovo e suo un tale precetto e volle che esso fosse come la tessera di riconoscimento dei cristiani, per cui si potessero facilmente distinguere dagli altri. Né diverso infine fu il testamento che egli morendo lasciò ai suoi seguaci, quando pregò che si amassero fra loro, ed amandosi si sforzassero di imitare quella unità ineffabile che si riscontra tra le Persone della SS.ma Trinità: “Che siano tutti una sola cosa… come una sola cosa siam noi.., affinché siano consumati nell’unità” (3). Gli Apostoli pertanto, seguendo le orme del divin Maestro, ed ammaestrati dalla viva sua voce, erano di una assiduità meravigliosa nell’esortare così i fedeli: “Sopra tutto poi abbiate perseverante fra voi stessi la mutua carità” (4). “E sopra tutte queste cose conservate la carità, la quale è il vincolo della perfezione” (5). “Carissimi amiamoci l’un l’altro; perché la carità è da Dio” (6). A questi avvertimenti di Gesù Cristo e degli Apostoli erano ben ossequenti quei nostri fratelli di tempi antichi, i quali, sebbene appartenenti a diverse nazioni talvolta in lotta tra loro, tuttavia, cancellando il ricordo delle contese con volontario oblio, vivevan in perfetta concordia. E veramente contrastava non poco una così intima unione di mente e di cuore da quelle mortali ostilità che allora divampavano in seno al consorzio umano.
 
Amare anche i nemici secondo il comandamento dl Gesù
 
4. Ora, quanto si è detto fin qui per imprimere il precetto della carità, vale anche per il perdono delle offese, non meno solennemente comandato dal Signore: “Ma io vi dico: Amate i vostri nemici; fate del bene a coloro che vi odiano: e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli: il quale fa che si levi il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi” (7). Di qui quel gravissimo monito dell’Apostolo S. Giovanni: “Chiunque odia il suo fratello, è omicida. E voi sapete, che nessun omicida ha la vita eterna abitante in se stesso” (8). Finalmente, Gesù Cristo ci ha insegnato a pregare il Signore in modo che noi stessi domandiamo di essere perdonati a patto di perdonare agli altri: “E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (9). Che se talvolta riesce troppo ardua e difficile l’osservanza di questa legge, a vincere ogni difficoltà, lo stesso Redentore del genere umano non solo ci assiste con la sua divina grazia ma anche col suo mirabile esempio, poiché mentre pendeva dalla croce, scusò presso il Padre coloro che così ingiustamente e iniquamente lo tormentavano, con quelle parole: “Padre, perdona loro: giacché non sanno quel che si fanno” (10). Noi pertanto, che per i primi dobbiamo imitare la misericordia e la benignità di Gesù Cristo, di cui, senza alcun merito, teniamo le veci, a suo esempio Noi perdoniamo di gran cuore a tutti e singoli i Nostri nemici che consapevoli o inconsci ricoprirono o coprono anche ora la persona e l’opera Nostra con ogni sorta di ingiurie, e tutti abbracciamo con somma carità e benevolenza non tralasciando alcuna occasione per beneficarli quanto più possiamo: e ciò stesso son tenuti a praticare i cristiani veramente degni di tal nome, verso coloro dai quali, durante la guerra, ricevettero offesa.
 
Il triste spettacolo delle miserie derivanti dalla guerra
 
5. Infatti la carità cristiana non si limita a non odiare i nemici e ad amarli come fratelli, ma vuole ancora che facciamo loro del bene; seguendo in ciò le orme del nostro Divin Redentore, il quale “compì la sua carriera, facendo del bene e sanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo” (11) e terminò il corso della sua vita mortale, spesa tutta nel beneficare immensamente gli uomini, versando per essi il suo sangue. Per cui disse S. Giovanni: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: poiché Egli ha dato la sua vita per noi: e noi pure dobbiamo dare la vita per i fratelli. Chi avesse dei beni di questo mondo, e vedesse il suo fratello in necessità, e gli chiudesse il suo cuore, come può essere in costui l’amore di Dio? Figlioli miei, non amiamo in parole e con la lingua, ma con le opere e con verità” (12). Mai però vi fu tempo in cui si dovessero più “dilatare i confini della carità” quanto in questi giorni di universale angustia e dolore; né mai forse come ora ebbe bisogno l’umanità di quella comune beneficenza che fiorisce dal sincero amore per il prossimo e che è piena di sacrificio e di fervore. Poiché, se volgiamo lo sguardo dovunque la guerra ha imperversato furibonda, ci si parano innanzi immense regioni desolate e squallide, moltitudini ridotte a tale estremo da mancare di pane, di indumenti e di letto; vedove ed orfani innumerevoli nell’attesa di un qualche soccorso; infine un’ingente schiera di esseri debilitati, specialmente bambini e fanciulli, i quali attestano nei loro corpicciuoli miseri l’atrocità della guerra.
 
La Chiesa ha sempre operato come il buon Samaritano
 
6. A chi contempla tal quadro di miserie, da cui è oppresso il genere umano, s’affaccia spontaneo alla mente il ricordo di quel viandante evangelico (13), il quale, recandosi da Gerusalemme a Gerico, s’imbatté negli assassini, che, spogliatolo e copertolo di ferite, lo abbandonarono semivivo sulla via. I due casi si assomigliano grandemente; e come a costui si avvicinò pieno di compassione il Samaritano che versatogli sulle ferite olio e vino lo fasciò, lo condusse all’albergo e si prese cura di lui; così a risanare le ferite del genere umano è necessario che vi appresti la sua mano Gesù Cristo, di cui il Samaritano era figura ed immagine. Tale appunto è l’opera ed il compito che la Chiesa per sé reclama come erede e custode dello spirito di Gesù Cristo; la Chiesa, diciamo, la cui intera esistenza è tutta intessuta di una mirabile varietà di benefici: essa, infatti, “quale vera madre dei cristiani, ha tali tenerezze di amore per il prossimo che per tutti i vari malanni che travagliano l’anima col peccato, ha pronta ogni specie di medicina”; onde “tratta ed ammaestra puerilmente i fanciulli, i giovani con fortezza, i vecchi con placida calma, secondo che ciascuno è tale non solo di corpo ma anche di animo” (14). Questi modi cristiani di comportarsi poi, raddolcendo gli animi, sono di una straordinaria efficacia per ricondurre i popoli alla tranquillità.
 
Invito a tutti i cattolici, religiosi e laici, ad operare per ristabilire la concordia
 
7. Perciò vi preghiamo, o Venerabili Fratelli, e vi scongiuriamo nelle viscere di carità di Gesù Cristo, adoperatevi pienamente non solo per stimolare i fedeli a voi affidati a deporre gli odi e a condannare le offese, ma anche per promuovere con più intensità tutte quelle opere di cristiana beneficenza, che siano di aiuto ai bisognosi, di conforto agli afflitti, di presidio ai deboli, che arrechino insomma un soccorso opportuno e molteplice a tutti coloro che hanno riportato dalla guerra una più grave disgrazia. Desideriamo che voi esortiate specialmente i vostri sacerdoti, come ministri di pace, affinché siano assidui in questo che è il compendio essenziale della vita cristiana, cioè nell’inculcare l’amore verso i prossimi, anche se nemici, e “fatti tutto a tutti” (15) in modo da essere di luminoso esempio, combattono ovunque contro 1 inimicizia e l’odio, ben sicuri di fare cosa gratissima al Cuore amantissimo di Gesù e a Colui che, sebbene indegnamente, ne sostiene le veci qui in terra. A questo proposito si devono pure caldamente esortare e pregare i giornalisti e scrittori cattolici, perché “come eletti di Dio, santi ed amati”, vogliano rivestirsi “di viscere di misericordia e di benignità” (16), esprimendola nei loro scritti, con l’astenersi non solo dalle false e vane accuse, ma ancora da ogni intemperanza e asprezza di linguaggio, la quale, mentre è contraria alla legge cristiana, non farebbe altro che riaprire piaghe non ancora risanate, tanto più che gli animi già inaspriti da recenti ferite mal sopportano ogni più lieve ingiuria.
 
È necessaria la ripresa di relazioni amichevoli fra i popoli già in guerra fra loro
 
8. Quanto noi abbiamo qui ricordato ai singoli circa il dovere che essi hanno di praticare la carità, intendiamo che sia pure esteso a quei popoli che hanno combattuto la grande guerra, affinché, rimossa, per quanto è possibile, ogni causa di dissidio e salve naturalmente le ragioni della giustizia, riprendano tra di loro relazioni amichevoli. Poiché non è affatto diversa la legge evangelica della carità tra gli individui da quella che deve esistere tra gli Stati e le nazioni, non essendo esse infine che l’insieme dei singoli individui. Dal momento poi che la guerra è cessata, non solo per motivi di carità ma anche per una certa necessità di cose, si va delineando un legame universale di popoli, spinti naturalmente ad unirsi fra loro da mutui bisogni, oltreché da vicendevole benevolenza, specialmente ora con l’accresciuta civilizzazione e con le vie di comunicazione mirabilmente moltiplicate.
 
Tolto il divieto ai Sovrani cattolici di venire a Roma in forma ufficiale
 
9. E veramente questa Sede Apostolica non si stancò mai d’inculcare durante la guerra, come dicemmo, un tale perdono delle offese e la fraterna riconciliazione dei popoli, conformemente alla legge santissima di Gesù Cristo e secondo le stesse esigenze del consorzio civile; né permise che questi principi morali fossero dimenticati anche in mezzo alle rivalità e agli odi; ed ora, dopo i trattati di pace, questi principi li propugna e li proclama ancor più altamente; come ha fatto poc’anzi nella lettera ai vescovi della Germania (17) e nell’altra indirizzata all’Arcivescovo di Parigi (18). E poiché a mantenere ed accrescere questa concordia tra le genti non poco contribuiscono le visite che i capi degli Stati e dei Governi usano reciprocamente farsi per sbrigare gli affari di maggiore importanza, Noi, considerando le mutate circostanze dei tempi e la piega pericolosa degli eventi, pur di cooperare a questo affratellamento dei popoli, non saremmo alieni dal mitigare in qualche modo il rigore di quelle condizioni che, abbattuto il Governo civile della Santa Sede, furono giustamente stabilite dai Nostri antecessori ad impedire la venuta dei Sovrani cattolici a Roma in forma ufficiale. Però nel tempo stesso solennemente proclamiamo che questa Nostra remissività, consigliata, o meglio voluta, come pare, dalla gravità di tempi che corrono, non si deve affatto interpretare quale una tacita rinunzia ai sacrosanti diritti, quasi che la Santa Sede si contenti dello stato anormale in cui si trova al presente. Che anzi “le proteste che i Nostri Predecessori fecero più volte, non affatto mossi da interessi umani ma dalla santità del dovere, per difendere cioè la dignità e i diritti di questa Sede Apostolica. Noi qui, in questa circostanza, le rinnoviamo per le identiche ragioni”, chiedendo ripetutamente e con maggior insistenza che, mentre si è pattuita la pace tra le nazioni, “cessi anche per il Capo della Chiesa questa condizione anormale, che gravemente nuoce, e per più motivi, alla stessa tranquillità dei popoli” (19).
 
Invito a costituire una Lega delle nazioni
 
10. Ristabilite così le cose, secondo l’ordine voluto dalla giustizia e dalla carità, e riconciliate tra di loro le genti, sarebbe veramente desiderabile, o Venerabili Fratelli, che tutti gli Stati, rimossi i vicendevoli sospetti, si riunissero in una sola società o meglio famiglia dei popoli, sia per garantire la propria indipendenza, sia per tutelare l’ordine del civile consorzio. E a formar questa società fra le genti è di stimolo, per tacere molte altre considerazioni, il bisogno stesso generalmente riconosciuto di ridurre, se non è dato di abolire, le enormi spese militari che non possono più oltre essere sostenute dagli Stati, affinché in tal modo si impediscano per l’avvenire guerre così micidiali e tremende e si assicuri a ciascun popolo nei suoi giusti confini l’indipendenza e l’integrità del proprio territorio.
 
La Chiesa nei secoli passati ha sempre operato per l’unione dei popoli
 
11. E una volta che questa Lega tra le nazioni sia fondata sulla legge cristiana, per tutto ciò che riguarda la giustizia e la carità, non sarà certo la Chiesa che rifiuterà il suo valido contributo, poiché, essendo essa il tipo più perfetto di società universale, per la sua stessa essenza e finalità è di una meravigliosa efficacia ad affratellare tra loro gli uomini, non solo in ordine alla loro eterna salvezza, ma anche al loro benessere materiale; li conduce cioè attraverso i beni temporali, in modo da non perdere gli eterni. Perciò sappiamo dalla storia, che da quando la Chiesa pervase del suo spirito le antiche e barbariche genti d’Europa, cessarono un po’ alla volta le varie e profonde contese che le dividevano, e federandosi col tempo in una unica società omogenea, diedero origine all’Europa cristiana, la quale, sotto la guida e l’auspicio della Chiesa, mentre conservò a ciascuna nazione la propria caratteristica, culminò in una compatta unità, fautrice di prosperità e di grandezza. Molto bene a questo proposito dice S. Agostino: “Questa città celeste, mentre vive esule quaggiù in terra, chiama a sé cittadini di ogni nazione, e compone di tutte le genti una sola società pellegrinante; non si cura di ciò che vi è di diverso nei costumi, nelle leggi e nelle istituzioni; cose tutte che, mirando alla conquista e al mantenimento della pace terrena, la Chiesa, invece di ripudiare o distruggere, gelosamente conserva; poiché, quantunque esse variino secondo le nazioni, vengono tutte indirizzate allo stesso fine della pace terrena, purché non impediscano l’esercizio della religione che insegna ad adorare l’unico sommo e vero Dio” (20). E lo stesso Santo Dottore così parla alla Chiesa: “Tu, i cittadini, le genti e gli uomini tutti, rievocando la comune origine, non solo li unisci tra loro ma ancora li affratelli” (21).
 
Esortazione finale a tutti i popoli
 
12. Noi pertanto, rifacendoci al principio del Nostro discorso, Ci rivolgiamo con affetto a tutti i Nostri figli e li scongiuriamo nel nome di Nostro Signor Gesù Cristo perché vogliamo dimenticare le reciproche rivalità ed offese, e stringersi nell’amplesso della carità cristiana, dinanzi a cui non vi sono stranieri; esortiamo inoltre vivamente tutte le nazioni affinché, sotto l’influsso della benevolenza cristiana, s’inducano a stabilire tra loro una vera pace e a collegarsi in un’unica alleanza, che, con l’aiuto della giustizia, sia duratura; infine facciamo appello a tutti gli uomini e popoli della terra perché aderiscano con la mente e con il cuore alla Chiesa Cattolica, e per la Chiesa, a Cristo Redentore del genere umano: così che possiamo loro rivolgere con tutta verità quelle parole di S. Paolo agli Efesini: “Ma adesso in Cristo Gesù, voi che eravate una volta lontani, siete diventati vicini, mercé il Sangue di Cristo. Poiché egli è nostra pace, egli che delle due cose ne ha fatta una sola, annullando la parete intermedia di separazione… distruggendo in se stesso le inimicizie. E venne ad annunziare la pace a voi, che eravate lontani, e pace ai vicini”. Né sono meno a proposito quelle parole che il medesimo Apostolo indirizzava ai Colossesi: “Non mentite più l’uno verso dell’altro, essendovi spogliati dell’uomo vecchio e di tutte le opere di lui, ed essendovi rivestiti del nuovo, di quello, il quale, si va rinnovando in proporzione della conoscenza, conformandosi all’immagine di colui che lo creò: dove non c’è Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, Barbaro e Scita, servo e libero: ma Cristo in ogni cosa ed in tutti” (22).
 
Frattanto, confidando nel patrocinio della Vergine Immacolata che testé volemmo fosse universalmente invocata “Regina della pace”, come pure in quello dei tre novelli Santi (23), umilmente imploriamo il divino Spirito Paraclito, perché “conceda propizio alla sua Chiesa il dono dell’unità e della pace” (24) e con ulteriore effusione di carità, diretta alla comune salvezza, rinnovi la faccia della terra…
 
(23 Maggio 1920)
 

 Note

 
(1) De civitate Dei, lib. XIX, c. XI.
(2) Ef 6, 13.
(3) Gv 17, 21-23.
(4) 1Pt 4, 18.
(5) Col 3,14.
(6) 1Gv 4, 7.
(7) Mt 5, 44-45.
(8) 1Gv 3, 15.
(9) Mt 6, 12.
(10) Lc 23, 34.
(11) At 10, 38.
(12) 1Gv 3, 16-18.
(13) Lc 10, 30.
(14) Cfr. S. Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae, lib. I, c. XXX.
(15) 1Cor 9, 22.
(16) Col 3, 12.
(17) Lettera Apostolica Diuturni, 15 luglio 1919.
(18) Epistola Amore ille singularis, 7 ottobre 1919.
(19) Lettera enciclica, Ad beatissimi, l° novembre 1914.
(20) De civitate Dei, lib. XIX, c. XVII.
(21) De moribus Ecclesiae catholicae, lib. I, c. XXX.
(22) Ibidem, II, 13 ss.: III, 9-11.
(23) S. Gabriele dell’Addolorata, S. Margherita M. Alacoque e S. Giovanna d’Arco.
(24) “Segreta” nella Festa del Corpus Domini.