Il Concilio Vaticano II (1962–1965)

Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965)

 
[Giovanni XXIII (1958 – 1963) – Paolo VI (1963 – 1978)]
 
Lumen gentium (Costituzione, 4 dicembre 1963)
 
«Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza». (13)
 
«I fedeli perciò devono riconoscere la natura profonda di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio, e aiutarsi a vicenda a una vita più santa anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo si impregni dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace. Nel compimento universale di questo ufficio, i laici hanno il posto di primo piano. ». (36)
 

 
Gaudium et spes (Costituzione, 7 dicembre 1965)
 
«…la uguale dignità delle persone richiede che si giunga a condizioni di vita più umane e giuste. Infatti le disuguaglianze economiche e sociali eccessive tra membri e tra popoli dell’unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all’equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale». (29)
 
«Accettando di morire per noi tutti peccatori, egli ci insegna con il suo esempio che è necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia. Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito; non solo suscita il desiderio del mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». (38)
 
«Simili squilibri economici e sociali si avvertono tra l’agricoltura, l’industria e il settore dei servizi, come pure tra le diverse regioni di uno stesso paese. Una contrapposizione, che può mettere in pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno più grave tra le nazioni economicamente più progredite e le altre». (63)
 
«Illustrando pertanto la vera e nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata l’inumanità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l’aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull’amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento». (77)
 
La natura della pace
 
«La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia ” (Is 32,7). È il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l’acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità. Tuttavia questo non basta. Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell’amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia. La pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne l’odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini. Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell’amore (Ef 4,15) e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla. Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità. Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell’amore, a vincere i1 peccato essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina ” Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra” (Is 2,4)». (78)
 
Il dovere di mitigare l’inumanità della guerra
 
«Sebbene le recenti guerre abbiano portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati. La complessità inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete delle relazioni internazionali fanno sì che vengano portate in lungo, con nuovi metodi insidiosi e sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del terrorismo è considerato anch’esso una nuova forma di guerra. Davanti a questo stato di degradazione dell’umanità, il Concilio intende innanzi tutto richiamare alla mente il valore immutabile del diritto naturale delle genti e dei suoi principi universali. La stessa coscienza del genere umano proclama quei principi con sempre maggiore fermezza e vigore. Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei principi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l’ubbidienza cieca può scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi tutto annoverati i metodi sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore. Deve invece essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a quelli che ordinano tali misfatti. Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. Tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molti impegni del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana. La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto. Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell’esercito, si considerino anch’essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch’essi veramente alla stabilità della pace». (79)
 
La guerra totale
 
«Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l’orrore e l’atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell’uso di queste armi. Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova. Sappiano gli uomini di questa età che dovranno rendere severo conto dei loro atti di guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle loro decisioni di oggi. Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacro Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti sommi Pontefici dichiara: Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione. Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità». (80)
 
La corsa agli armamenti
 
«Le armi scientifiche, è vero, non vengono accumulate con l’unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra. Poiché infatti si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte dipenda dalla possibilità fulminea di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo paradossale, a dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più efficace per assicurare oggi una certa pace tra le nazioni. Qualunque cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile. Le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E mentre si spendono enormi ricchezze per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente. Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli, si finisce per contagiare anche altre parti del mondo. Nuove strade converrà cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo scandalo e al mondo, liberato dall’ansietà che l’opprime, possa essere restituita una pace vera. È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c’è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i mezzi. Ammoniti dalle calamità che il genere umano ha rese possibili, cerchiamo di approfittare della tregua di cui ora godiamo e che è stata a noi concessa dall’alto, per prendere maggiormente coscienza della nostra responsabilità e trovare delle vie per comporre in maniera più degna dell’uomo le nostre controversie. La Provvidenza divina esige da noi con insistenza che liberiamo noi stessi dall’antica schiavitù della guerra. Se poi rifiuteremo di compiere tale sforzo non sappiamo dove ci condurrà la strada perversa per la quale ci siamo incamminati». (81)
 
La condanna assoluta della guerra e l’azione internazionale per evitarla
 
«È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l’accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra. Questo naturalmente esige che venga istituita un’autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. Ma prima che questa auspicabile autorità possa essere costituita, è necessario che le attuali supreme istanze internazionali si dedichino con tutto l’impegno alla ricerca dei mezzi più idonei a procurare la sicurezza comune. La pace deve sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere imposta ai popoli dal terrore delle armi. Pertanto tutti debbono impegnarsi con alacrità per far cessare finalmente la corsa agli armamenti. Perché la riduzione degli armamenti incominci realmente, non deve certo essere fatta in modo unilaterale, ma con uguale ritmo da una parte e dall’altra, in base ad accordi comuni e con l’adozione di efficaci garanzie. Non sono frattanto da sottovalutare gli sforzi già fatti e che si vanno tuttora facendo per allontanare il pericolo della guerra. Va piuttosto incoraggiata la buona volontà di tanti che pur gravati dalle ingenti preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi dalla gravissima responsabilità da cui si sentono vincolati, si danno da fare in ogni modo per eliminare la guerra, di cui hanno orrore pur non potendo prescindere dalla complessa realtà delle situazioni. Bisogna rivolgere incessanti preghiere a Dio affinché dia loro la forza di intraprendere con perseveranza e condurre a termine con coraggio quest’opera del più grande amore per gli uomini, per mezzo della quale si costruisce virilmente l’edificio della pace. Tale opera esige oggi certamente che essi dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l’umanità, avviata ormai così faticosamente verso una maggiore unità. Per ciò che riguarda i problemi della pace e del disarmo, bisogna tener conto degli studi approfonditi, già coraggiosamente e instancabilmente condotti e dei consessi internazionali che trattarono questi argomenti e considerarli come i primi passi verso la soluzione di problemi così gravi; con maggiore insistenza ed energia dovranno quindi essere promossi in avvenire, al fine di ottenere risultati concreti. Stiano tuttavia bene attenti gli uomini a non affidarsi esclusivamente agli sforzi di alcuni, senza preoccuparsi minimamente dei loro propri sentimenti. I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un’opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino. Né ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, L’umanità che, pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quell’ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte. La Chiesa di Cristo nel momento in cui, posta in mezzo alle angosce del tempo presente, pronuncia tali parole, non cessa tuttavia di nutrire la più ferma speranza. Agli uomini della nostra età essa intende presentare con insistenza, sia che l’accolgano favorevolmente, o la respingano come importuna, il messaggio degli apostoli: a Ecco ora il tempo favorevole ” per trasformare i cuori, “ecco ora i giorni della salvezza”». (82)
 
Le cause di discordia e i loro rimedi
 
«L’edificazione della pace esige prima di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre. Molte occasioni provengono dalle eccessive disparità economiche e dal ritardo con cui vi si porta il necessario rimedio. Altre nascono dallo spirito di dominio, dal disprezzo delle persone e, per accennare ai motivi più reconditi, dall’invidia, dalla diffidenza, dall’orgoglio e da altre passioni egoistiche. Poiché gli uomini non possono tollerare tanti disordini avviene che il mondo, anche quando non conosce le atrocità della guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze. I medesimi mali si riscontrano inoltre nei rapporti tra le nazioni. Quindi per vincere e per prevenire questi mali, per reprimere lo scatenamento della violenza, è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione e la loro coordinazione e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace». (83)
 
«La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev’essere assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole». (89)
 
«Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace». (92)
 

 
Christus Dominus (Decreto, 28 ottobre 1965)
 
«[I vescovi]…E da ultimo espongano come debbano essere risolti i gravissimi problemi sollevati dal possesso dei beni materiali, dal loro sviluppo e dalla loro giusta distribuzione, dalla pace e dalla guerra, e dalla fraterna convivenza di tutti i popoli». (12)
 

 
Unitatis redintegratio (Decreto, 21 novembre 1964)
 
«Così la Chiesa, unico gregge di Dio, quale segno elevato alla vista delle nazioni, mettendo a servizio di tutto il genere umano il Vangelo della pace, compie nella speranza il suo pellegrinaggio verso la meta che è la patria celeste». (2)
 
«Questa cooperazione, già attuata in non poche nazioni, va ogni giorno più perfezionata– specialmente nelle nazioni dove è in atto una evoluzione sociale o tecnica–sia facendo stimare rettamente la dignità della persona umana, sia lavorando a promuovere il bene della pace, sia applicando socialmente il Vangelo, sia facendo progredire con spirito cristiano le scienze e le arti, come pure usando rimedi d’ogni genere per venire incontro alle miserie de. nostro tempo, quali sono la fame e le calamità, l’analfabetismo e l’indigenza, la mancanza di abitazioni e l’ineguale distribuzione della ricchezza». (12)
 

 
Ad gentes (Decreto, 7 dicembre 1965)
 
«Portino ancora i cristiani il loro contributo ai tentativi di quei popoli che, lottando contro la fame, l’ignoranza e le malattie, si sforzano per creare migliori condizioni di vita e per stabilire la pace nel mondo». (12)
 

 
Nostra aetate (Dichiarazione, 28 ottobre 1965)
 
«Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». (3)
 

 
Gravissimum educationis (Dichiarazione, 28 ottobre 1965)
 
«Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una educazione, che risponda alla loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra». (1)
 

 
Dignitatis humanae (Dichiarazione, 7 dicembre 1965)
 
«Per cui, affinché nella famiglia umana si instaurino e si consolidino relazioni di concordia e di pace, si richiede che ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica e che siano osservati i doveri e i diritti supremi degli esseri umani attinenti la libera espressione della vita religiosa nella società». (15)