“Il vostro arcivescovo in esilio”


La guerra nella regione dei Grandi laghi è in stallo.

 
Il ruolo di mons. Kataliko e della Chiesa cattolica.
 
Nel mio ultimo rapporto avevo qualificato il conflitto armato nella Repubblica democratica del Congo come un conflitto interno con la partecipazione di forze straniere. Ma gli scontri diretti tra gli eserciti ruandese e ugandese sul territorio congolese nel mese di agosto 1999 o più recentemente quelli tra le etnie lendu e hema nella regione dell’Ituri (Provincia orientale) controllata dall’esercito ugandese, nel corso dei quali sarebbero state uccise 5.000 persone, mi hanno spinto a ripensare alla qualificazione di questo conflitto. La Repubblica democratica del Congo è a mio avviso teatro non più di un solo conflitto ma di numerosi, alcuni dei quali hanno dimensioni interne e altri hanno un carattere internazionale. Sono le parole del relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo, Roberto Garreton, durante la presentazione del suo 6o rapporto lo scorso 29 marzo a Ginevra.
 
Il conflitto in terra congolese, iniziato il 2 agosto 1998, a pochi mesi dall’insediamento al potere di L.D. Kabila, ha provocato “conseguenze umanitarie _ prosegue la relazione di Garreton _ ma anche ecologiche che, anche se di difficile misurazione, sono senza precedenti. A titolo d’esempio, quasi un milione di persone è sfollato; altre 280.000 sono state costrette a prendere la via dell’esilio e una gran parte della popolazione vive in una situazione d’insicurezza alimentare”. Le numerose violazioni al diritto internazionale umanitario sono compiute “da tutti i soggetti”. Le forze di Kabila e i suoi alleati hanno “bombardato numerose località” e hanno compiuto “rappresaglie contro la popolazione civile”; così come le forze legate all’Unione congolese per la democrazia “non hanno esitato a massacrare dei civili senza difesa”. In uno degli incidenti più noti, avvenuto a Mwenga, le vittime sono state “sepolte vive o bruciate”.
 
Anche in ciò che resta della vita civile lontano dai campi di battaglia i diritti umani sono gravemente violati. Nei territori controllati dal governo viene applicata la pena di morte; l’unico tribunale è una Corte marziale che emette sentenze esecutive senza possibilità d’appello; sono frequenti i casi di tortura e le sparizioni, e la libertà d’espressione è fortemente limitata. Nei territori controllati dall’Unione congolese per la democrazia “regna un vero e proprio clima di terrore, d’umiliazione e un sentimento di rifiuto delle autorità occupanti da parte della popolazione locale. Gli attentati al diritto alla vita sono numerosi e le libertà pubbliche sono sistematicamente schernite. Non esistono organi indipendenti d’informazione e quelli rari che esistevano sono stati chiusi”. Inoltre, “ogni tentativo d’opposizione è presentato come un “tentativo di genocidio”. Una vittima di queste accuse è l’arcivescovo di Bukavu, mons. Emmanuel Kataliko, che dal mese di febbraio non è stato autorizzato a raggiungere la propria diocesi di ritorno da un soggiorno a Kinshasa, dove aveva partecipato alla riunione della Conferenza episcopale del Congo. Le autorità dell’Unione congolese per la democrazia gli rimproverano di avere sostenuto il movimento di disobbedienza civile e di avere incitato la popolazione all’odio etnico nel suo messaggio del Natale 1999″.
 
 
Il digiuno sacramentale
 
Mons. Kataliko, di ritorno il 12 febbraio in diocesi, è stato fermato a Goma e dichiarato “persona non grata”. È stato costretto a fermarsi a Butembo, sua città natale, ospite del vescovo locale, dove attualmente si trova. Il giorno stesso una Lettera aperta della Chiesa cattolica di Bukavu dichiara “un lutto diocesano, tramite l’osservazione di un digiuno liturgico e sacramentale”. Rifacendosi al n. 41 della Sacrosantum concilium sulla centralità del vescovo nella vita liturgica e pastorale della porzione di Chiesa a lui affidata, “nell’attesa del ritorno del nostro arcivescovo noi dichiariamo la cessazione delle attività liturgiche nelle chiese. Lo stesso avverrà per tutte le attività professionali e sociali della diocesi di Bukavu”.
 
Una delle accuse rivolte a mons. Kataliko è l’incitamento all’odio etnico, che si concretizzerebbe nell’espressione “fino al sangue”, contenuta nel Messaggio di Natale 1999. L’intera frase dice: “Ci impegniamo con coraggio, con spirito fermo, con una fede salda a stare dalla parte di tutti gli oppressi e, se necessario, fino al sangue, come hanno fatto mons. Munzihirwa” e gli altri sacerdoti, religiosi e laici “tutti morti in questa guerra”.
 
Alle proteste della comunità cattolica si sono uniti anche le altre denominazioni cristiane e vi sono stati scioperi in tutta la regione del Kivu. Numerose le dichiarazioni di solidarietà rivolte all’arcivescovo. Il portavoce della Sala stampa vaticana, J. Navarro Valls, ha detto che “la Segreteria di stato chiede il ritorno senza indugio del vescovo, un pastore particolarmente apprezzato per il suo coraggio apostolico nel difendere i diritti di tutti”, dichiarando che l’episodio “lede gravemente i diritti della Chiesa”. E il papa, nell’udienza del 16, riferendosi alla vicenda l’ha definita “una grave violazione che ferisce dolorosamente tutti i cattolici!”. Messaggi di solidarietà uniti alla richiesta di rilascio immediato del presule sono giunti numerosi da tutto il mondo.1
 
Mons. Kataliko dà disposizione di istituire un collegio di consultori, formato da 5 sacerdoti, che reggerà la diocesi fino al suo ritorno. Il collegio in un comunicato del 17 conferma lo sciopero liturgico e relaziona ai fedeli sull’incontro con le autorità dell’Unione per la democrazia: i rappresentanti ecclesiastici andati a colloquio sarebbero stati accusati di “violenza verbale” per avere introdotto la distinzione tra la richiesta di scarcerazione del vescovo e il movimento sociale e politico che chiede la restaurazione della democrazia. In questo stesso comunicato viene resa nota l’uccisione, avvenuta il 15, di un sacerdote e di due laici a Kiliba, per cui s’invitano i fedeli alla “prudenza e al discernimento”, aggiungendo inoltre che “le notizie sul nostro vescovo e sulla vita della diocesi saranno comunicate unicamente attraverso i sacerdoti delle vostre parrocchie”.
 
 
Una Chiesa divisa
 
Spicca nella vicenda il silenzio della Conferenza episcopale zairese, divisa non solo perché la guerra non permette comunicazioni tra la zona occupata dalle truppe sostenute da Burundi, Ruanda e Uganda e quella sotto il controllo del governo di Kinshasa, ma anche nella concezione del ruolo pastorale.
 
Il cardinale di Kinshasa, F. Etsou, ha partecipato a un’iniziativa congiunta con la Chiesa kimbanguista, la Chiesa di Cristo in Congo _ un’unione di 62 denominazioni evangelicali _, la Chiesa ortodossa e la comunità islamica, presentata a febbraio negli Stati Uniti e in Europa, che è stata definita Consultazione nazionale. Essa tra il 24 gennaio e l’11 marzo2 ha riunito 2.000 delegati dalle province congolesi sotto controllo governativo per preparare il “dialogo inter-congolese” previsto negli accordi di Lusaka, firmati da tutte le parti in guerra nell’estate 1999 e sinora rimasti inattuati. La Consultazione ha avuto inizialmente il beneplacito di Kabila, ma le richieste che le assise avevano formulato sono state rifiutate. La Chiesa cattolica durante i lavori si era ufficialmente ritirata.
 
Al di là di questa iniziativa, non vi è stata parola sul caso di mons. Kataliko. È invece intervenuta con un Messaggio di sostegno alle popolazioni delle province occupate l’assemblea episcopale della provincia di Lubumbashi, riunitasi dal 6 all’11 marzo. “Abbiamo saputo che voi opponete una resistenza pacifica e non violenta ai nemici della pace che vi tengono in ostaggio” _ dicono i vescovi, riferendosi alle iniziative di protesta civile, note come villes mortes (città morte; cf. anche in questo numero a p. 283). “Il vostro gesto è nobile e si situa entro la linea della legittima difesa. Nella fede, noi vi manifestiamo il nostro sostegno e la nostra solidarietà”. Allo stesso tempo rivolgono a mons. Kataliko una “profonda compassione”, lui che è “fratello nell’episcopato e vittima di un allontanamento, comandato dai nemici della verità che si compiacciono della violenza e della violazione dei diritti umani”.
 
Al polo contrario di questa battagliera dichiarazione, troviamo mons. F. Ngabu, vescovo di Goma e presidente della Conferenza episcopale, che nella visita “inattesa” a mons. Kataliko a Butembo gli ha consegnato un messaggio di Ilunga, presidente del ramo Unione per la democrazia-Goma. Mons. Ngabu, di “ritorno da Kigali” (la capitale ruandese), ha prima incontrato Kataliko portandogli il messaggio del comandante della zona e poi il vicario generale della diocesi di Bukavu, mons. Gwamuhanya, incaricandosi così di una sorta di mediazione tra l’arcivescovo e le forze occupanti.
 
Osservatori accreditati ci hanno dichiarato che nelle diocesi della zona occupata, che corrono lungo il confine orientale del paese, starebbe prendendo sempre più piede la tendenza da parte dei vescovi alla politicizzazione della loro azione, lasciando sempre più spazio all’azione pastorale dei neocatecumenali. Così sta avvenendo nella diocesi di Goma con l’arrivo di un gruppo d’origine italiana. Accolte in maniera entusiasta da un buon numero di fedeli anche per le forme liturgiche ricche di musica e di canti, nei luoghi in cui s’insediano le comunità neocatecumenali sostituiscono progressivamente le strutture pastorali diocesane e parrocchiali con quelle del movimento, grazie anche alla forza di chi può garantire consistenti aiuti economici.
 
A questo s’aggiunge il fatto che la proposta pastorale che viene fatta è “disincarnata”, non entra nel merito della situazione caratterizzata dalla paura e dalla guerra. Si parla della conversione interiore dei fedeli senza accennare al contesto in cui essa si trova. L’attrattiva delle celebrazioni vissute molto intensamente dai partecipanti sembra coprire il mancato riferimento alle condizioni in cui queste liturgie vengono celebrate: intimidazioni, sparizioni, torture, morti.
 
 
Ruandese e anticattolico
 
Il bersaglio principale di questo clima sembra proprio essere la Chiesa cattolica. Il 28 febbraio a Kibumba (vicino a Goma) è stato ucciso il fratello di mons. Kataliko, Kamate Musiki, al cui funerale _ che si è trasformato in una manifestazione spontanea _ il vescovo non ha potuto partecipare. Il 9 marzo a Luofu (diocesi di Butembo-Beni) 15 fedeli sono stati uccisi. Il 19 a Nyakavogo (comune di Bagira) hanno saccheggiato il convento delle suore della santa Famiglia. Il 26 la stessa sorte è toccata alla canonica della parrocchia di Ciriri (comune di Kasha). I responsabili di tali saccheggi sarebbero uomini in uniforme di lingua swahili e kinyarwanda. Nessuna inchiesta è stata aperta.
 
Profetiche furono le parole di mons. Kataliko che rivolgeva un messaggio di solidarietà a mons. Misago, il vescovo ruandese in carcere da un anno, il cui processo per genocidio è attualmente alle battute finali: “In questo contesto la Chiesa, al pari della leadership tradizionale, costituisce il bersaglio privilegiato di un potere che vuole fare tabula rasa dei valori cristiani e tradizionali. Il suo meccanismo consiste nel destrutturare un popolo minando fino alla radice la sua identità per sottometterlo meglio” (Regno-doc. 19,1999,643). Parole ribadite anche in una lettera inviata a Giovanni Paolo II il 1° gennaio di quest’anno, dove il presule definisce il potere “militare e straniero” di origine ruandese come “fortemente anticattolico”. La Chiesa, che “riunisce, organizza, anima la popolazione”, è considerata dalle forze occupanti la causa della mancata adesione della popolazione alla “ribellione”, un eufemismo per indicare la volontà di fare del Kivu una provincia ruandese.3 La popolazione non ha collaborato in tal senso e Kagame, capo delle forze armate nonché presidente del Ruanda, ha infine detto “che con o senza la ribellione il Ruanda continuerà la guerra in Congo” (dichiarazione del collegio dei consultori di Bukavu, 23.2.2000).
 
Da Butembo, mons. Kataliko invita il suo popolo, attraverso un messaggio in occasione della quaresima, a raddoppiare “la pazienza e la speranza. Il male non ha mai l’ultima parola. Dio è qui. Ci ascolta. Cerchiamo di essere innanzitutto solidali, non cediamo alla tentazione dello scoraggiamento, del disfattismo, degli interessi egoistici. Riprendiamo le nostre attività abituali per evitare l’asfissia. Gli studenti, gli allievi, gli scolari riprendano il cammino della scuola. Senza dimenticare le cerimonie liturgiche, che ci infondono forza spirituale e coraggio per affrontare con serietà il futuro. Solo Dio sa ciò che sarà di noi. Rimaniamo attaccati a lui. Vi abbraccio tutti e vi auguro buona quaresima e buona festa di Pasqua 2000. Colui che vi ama, il vostro arcivescovo in esilio, mons. Kataliko”.
 
 
1 – Dal vescovo di Noto, mons. G. Malandrino, che guida la diocesi siciliana gemellata con Bukavu (14.2.2000); da mons. Monsengwo, vescovo di Kisangani, _ ma solo in quanto presidente del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar _, dallo stesso Garreton (15.2); dal card. di Boston, B. Law, presidente della Commissione sulla politica internazionale della Conferenza episcopale statunitense (18.2), che ha anche scritto all’ambasciatore ugandese negli Stati Uniti; dalla Conferenza episcopale italiana (24.2), dal portavoce del Dipartimento di stato americano (17.3.2000). Il Comitato esecutivo della rete di istituti missionari, associazioni congolesi e di volontariato e singoli cittadini ha organizzato una giornata di digiuno e preghiera sulla situazione della Repubblica democratica del Congo l’8 aprile a Roma.
 
2 – Sempre il 24 gennaio il Consiglio di sicurezza dell’ONU, nell’ambito del mese dedicato all’Africa, ha aperto una sessione dedicata al conflitto nella regione dei Grandi laghi, cui ha partecipato anche il presidente Kabila. Al termine della sessione è stata approvata una risoluzione che prevede l’invio di 500 osservatori e di un contingente di 5.000 caschi blu per il mantenimento della pace. Il capo della missione B. Miyet è arrivato in Congo ai primi di marzo e sta sondando il campo per il concreto dispiegamento della forza.
 
3 –  Nella dichiarazione di Garreton del 15.2.2000 viene detto che è stato attuato un gemellaggio tra Kigali _ capitale del Ruanda _ e la provincia del Sud Kivu e che in alcuni dei territori occupati sventola la bandiera ruandese.
 
articolo tratto da “Il Regno”