Introduzione alla Patristica
Fino alla morte dell’ultimo apostolo il deposito della rivelazione si era progressivamente arricchito; ma, da quel momento la fede della Chiesa era già in possesso di tutte le verità necessarie alla salvezza dei credenti (Tertulliano, Praescript., 7, 13). Ma è pur vero che questo stesso deposito cosi ereditato andava custodito e trasmesso. I successori immediati degli apostoli ci si presentano occupati e preoccupati di tener fede a questo compito e a questa missione. Sappiamo che effettivamente l’esercizio vivo della trasmissione della fede veniva attuato soprattutto attraverso la predicazione, un metodo instaurato dallo stesso Fondatore della Chiesa e poi continuato personalmente dagli apostoli. Per questo, la documentazione scritta della fine del I sec. e della prima metà del II è scarsa. Tuttavia non mancano alcuni scritti, la cui importanza risulta di grandissimo momento, anche se il motivo della loro ispirazione fu più che altro occasionale.
Agli autori di questi scritti viene dato il nome di Padri apostolici, perché, direttamente o almeno indirettamente, essi derivano dal vivo insegnamento degli apostoli. La prima impressione che si riceve dalla lettura delle loro opere è il progresso della prima evangelizzazione nel mondo, iniziata già prima della caduta di Gerusalemme. Eusebio è particolarmente impegnato in questo campo (Historia eccles., 3, 1, 1), fino a descrivere le zone suddivise fra gli apostoli per l’esercizio della loro missione. L’Asia minore fu certamente la regione in cui il cristianesimo ebbe la massima fioritura, per indubbio effetto della lunga presenza di Giovanni: Ignazio di Antiochia, Policarpo, Papia, Ireneo ci richiamano a queste origini (Efeso e Smirne). In più gli scrittori di questo periodo iniziale ci fanno conoscere la Chiesa primitiva, la sua vita, il suo culto, la sua fede.
Il lettore di questi scritti, sgorgati dal cuore e dalla penna dei Padri apostolici, vi cerchi soprattutto, se non unicamente, la testimonianza che la Chiesa primitiva poteva rendere a se stessa, e non opere organiche e dottrinalmente elaborate. Del resto, il primo elemento emergente da queste brevi opere è anzitutto il fatto che esse sono dirette ai cristiani. Solo più tardi appariranno le apologie con le quali il cristianesimo si confronterà con le culture del tempo. La prima lingua usata nella Chiesa fu la lingua greca, come dimostra la tradizione perfino a cominciare dai quattro Vangeli.
(Lorenzo Dattrino, Patrologia, Ed. Ut unum sint, pag. 16)
Il Magistero della Pace: 1500 anni di storia breve
Per circa 1500 anni il tema della Pace non ha rivestito un ruolo significativo nella riflessione teologica o nell’insegnamento del Magistero.
E’ anzi evidente – anche ad un primo superficiale confronto – la disparità di testi prodotti al tempo della Patristica o nel XX secolo con quelli elaborati in questo lunghissimo periodo intermedio.
Il motivo è semplice: in generale, non solo la guerra era ritenuta lecita (si discuteva piuttosto sui criteri perche’ fosse tale), ma la Chiesa stessa se ne fece promotrice in alcune circostanze.
Non stupisce perciò che in ben due dei tre testi riportati in questa sezione i Concilii ecumenici impongano, sotto pena di scomunica, un periodo di Pace nelle terre cristiane, solamente allo scopo di non compromettere il buon esito delle crociate in Terra santa.
Bisognera’ invece attendere il ‘900 per assistere ad una nuova e abbondante fioritura di testi magisteriali sull’argomento.