Pubblichiamo la traduzione dell’intervento pronunciato il 21 aprile da monsignor Michael W. Banach, Rappresentante Permanente della Santa Sede presso l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), alla Conferenza ministeriale sull’energia nucleare nel XXI secolo, organizzata dalla stessa Aiea a Pechino dal 20 al 22 aprile.
Signor Presidente,
Eccellenze, Signore e Signori, ho l’onore di pronunciare questo intervento a nome di S.E l’arcivescovo Dominique Mamberti, Segretario per le Relazioni con gli Stati della Santa Sede.
Innanzitutto permettetemi di esprimere gratitudine alle autorità competenti della Repubblica Popolare Cinese, dell’Agenzia Cinese per l’Energia Atomica e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica per l’organizzazione di questa che sta diventando una conferenza sempre più interessante.
Signor Presidente,
i partecipanti a questa Conferenza potrebbero essere interessati a sapere che la Santa Sede è un Membro Fondatore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea). La costante crescita della domanda mondiale di energia sollecita una seria riflessione sul ruolo dell’energia nucleare. Le riflessioni che seguono sono un contributo della Santa Sede, basate sulla sua natura specifica, ai dibattiti sull’energia nucleare nel XXI secolo.
È noto che la tecnologia nucleare non presenta solo rischi, ma anche grandi opportunità per l’umanità. In questa prospettiva, sebbene sia importante riconoscere il diritto inalienabile degli Stati a “promuovere la ricerca, la produzione e l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare per scopi pacifici, senza discriminazione” (Trattato sulla Non-Proliferazione delle Armi Nucleari, articolo iv.1), altresì è importante riconoscere che questo diritto non è assoluto. Esso va sottoposto alla condizione di un effettivo processo di disarmo e di non-proliferazione delle armi nucleari. Si tratta, soprattutto, di un diritto in relazione a quello di ciascun altro Stato. Infatti, ogni Stato è chiamato a perseguire lo sviluppo e il bene comune di popoli e non il potere nazionale, sia esso economico o militare. Una saggia politica energetica porta necessariamente allo sviluppo dei popoli, a uno sviluppo che sia rispettoso dell’ambiente naturale, come bene di per sé e come bene da cui dipendono anche la vita e la salute umana, e sempre attento alle persone più svantaggiate (Papa Benedetto XVI, Angelus, 29 luglio 2007). Come affermato dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sul Diritto allo Sviluppo del 1986: “La persona umana è il soggetto centrale dello sviluppo” (art. 2/1).
Signor Presidente,
fra le variabili numerose e complesse di natura politica ed economica, il punto essenziale di riferimento resta, di fatto, la persona umana, con la sua dignità e i suoi diritti fondamentali. In questa prospettiva la sicurezza energetica e quella nucleare non sono solo obiettivi strategici, ma anche e soprattutto strumenti per favorire “il contributo dell’energia atomica alla pace, alla salute e alla prosperità nel mondo” (Statuto Aiea, art. II).
Questo possibile contributo richiede grande saggezza e un senso di responsabilità da parte degli Stati. Soprattutto, è necessario e urgente rilanciare il multilateralismo e le attività di sorveglianza e di monitoraggio dell’Aiea. Queste ultime non sono un limite agli interessi legittimi degli Stati, ma una garanzia per la sicurezza e il bene comune di tutti i popoli. Anche i programmi civili, penso alla questione dell’uso duale, richiedono un efficace monitoraggio internazionale, pur nel rispetto della libertà degli Stati.
È vero che la sicurezza energetica e la sicurezza nucleare richiedono l’adozione di appropriate misure tecniche e legali, ma queste non possono mai essere, da sole, l’unica risposta a quella che è, soprattutto, una questione relativa alla natura umana. Le minacce alla sicurezza derivano da atteggiamenti e azioni ostili alla natura umana. Dunque è a livello umano che bisogna agire, a livello culturale ed etico. Se, nel breve periodo, sono necessarie misure tecniche e legali per proteggere materiali e siti nucleari e per prevenire atti di terrorismo nucleare, i cui eventuali effetti devastanti sono veramente difficili da immaginare, allora, sul lungo periodo, sono necessarie anche misure di prevenzione che possano incidere sulle più profonde radici culturali e sociali dell’attività criminale e del terrorismo. Indispensabili sono i programmi di formazione e di diffusione di una “cultura di sicurezza e incolumità” sia nel settore nucleare sia nella coscienza pubblica in generale. Un ruolo speciale deve essere riservato a codici di condotta per le risorse umane che, nel settore nucleare, devono essere sempre consapevoli dei possibili effetti della loro attività. La sicurezza dipende dallo Stato, ma, soprattutto, dal senso di responsabilità di ogni singola persona.
Signor Presidente,
questo senso di responsabilità da parte degli Stati richiede anche una coerenza maggiore fra politica di sviluppo e politica di disarmo e di non proliferazione di armi nucleari. Questa coerenza deve anche essere alimentata da una cooperazione internazionale che è l’unica in grado di garantire soluzioni equilibrate e condivise e di prevenire le tensioni legate alle strategie di isolamenti nazionali o regionali.
Se, da una parte, è necessario considerare senza preconcetti l’uso della tecnologia nucleare e, in particolare, dell’energia nucleare, dall’altra, è anche necessario rinnovare l’impegno per un disarmo nucleare completo e generale. Il disarmo e la non proliferazione di armi nucleari hanno un grande valore politico perché affermano la supremazia della fiducia sulle armi e della diplomazia sulla forza. Quest’opzione è in linea con la regola, sancita dalla Carta delle Nazioni Unite, per cui tutti gli Stati devono promuovere “lo stabilimento e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale con la minima dispersione di risorse umane ed economiche mondiali per le armi” (art. 26). Ciò ha anche un grande valore economico perché “le risorse sprigionate grazie a misure di disarmo dovrebbero essere destinate allo viluppo economico e sociale e al benessere di tutti i popoli, in particolare di quelli dei Paesi in via di sviluppo” (Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo del 1986).
Signor Presidente,
il settore nucleare può essere una grande opportunità per il futuro. Ciò spiega il “rinascimento nucleare” che emerge a livello mondiale. Questo rinascimento sembra offrire prospettive di sviluppo e prosperità. Tuttavia, potrebbe ridursi a illusione senza un “rinascimento culturale e morale”. Purtroppo, il mero benessere materiale non elimina i rischi e i conflitti legati alla povertà e alla miseria culturali e morali degli uomini e delle donne. Per questo motivo, le politiche energetiche devono essere considerate nella prospettiva dello “sviluppo integrale dell’essere umano” (Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo del 1986, pp 5), che implica non solo lo sviluppo materiale, ma, soprattutto, quello culturale e morale di ogni persona e di tutti i popoli. Sono tutti coinvolti in questo progetto ambizioso e indispensabile, sia all’esterno che all’interno dei settori nucleare ed energetico, in campi pubblico e privato, a livello governativo e non governativo. In tal modo, un impegno comune alla sicurezza e alla pace porterà non solo a un’equa distribuzione delle risorse della terra, ma, soprattutto, all’edificazione di un “ordine sociale e internazionale in cui diritti e libertà” di tutte le persone umane possano pienamente realizzarsi (Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, Art. 28).
Grazie per la cortese attenzione.
(©L’Osservatore Romano – 24 maggio 2009)