I lavori del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SECAM; cf. in questo numero a p. 633) sono stati segnati dall’improvvisa morte di uno dei protagonisti, mons. Emmanuel Kataliko, arcivescovo della diocesi congolese di Bukavu (Repubblica democratica del Congo, l’ex Zaire).
Passione per il popolo
Era intervenuto in aula nel pomeriggio di martedì 3. La sera, verso le 23, ha avuto una crisi respiratoria, primo sintomo di un infarto che in un paio di ore l’ha portato alla morte. Secondo la testimonianza di un sacerdote congolese riportata dall’agenzia Africa News Bullettin, “è morto come ha vissuto”, secondo uno stile sobrio in tutto simile a quello del popolo che guidava. “Egli è morto come tutti quelli che hanno difficoltà a raggiungere un ospedale poiché mancano mezzi di comunicazione e di trasporto… È morto come coloro che aspettano sotto un albero e sdraiati sull’erba ipotetici soccorsi che forse non arriveranno mai.
Chi poteva infatti credere che nella casa che accoglieva i vescovi dell’Africa e del Madagascar, venuti per la loro assemblea plenaria… non vi fosse un servizio d’infermeria o di pronto soccorso a disposizione? Il portiere notturno non è riuscito a far arrivare né un’ambulanza, né un medico e neppure un taxi… Ci è voluta infatti almeno un’ora, dalle 23,30 alle 24,30, per trovare una soluzione alternativa, e cioè la macchina di un giornalista di Radio vaticana… per poter infine portare il nostro compianto vescovo da un dottore”. Giunto all’ospedale di Marino, vi è morto poco dopo.
“È morto come ha vissuto” per lo stile appassionato con il quale ha difeso sino all’ultimo la causa della giustizia e della pace per il suo popolo. Il suo intervento in aula infatti aveva colpito tutti i partecipanti del SECAM per il vigore con cui aveva ribadito che “i vescovi devono parlare, parlare agli uomini politici, alle autorità… perché i popoli africani soffrono a tal punto che non si può tacere”.
Malato di cuore da tempo, era stato nominato arcivescovo di Bukavu nel maggio del 1998, succedendo a mons. Munzihirwa, ucciso nell’ottobre del 1996 da militari ruandesi, facenti parte della coalizione che sosteneva Laurent D. Kabila nella guerra che cacciò nel 1997 Mobutu (Regno-att. 20,1996,587). Del suo predecessore aveva in tutto mantenuto lo stile di denuncia della situazione di oppressione delle popolazioni della regione dei Grandi laghi e di strenua difesa della pace: “Rispondere alla violenza con la violenza non è mai la vera soluzione, ma piuttosto un modo di lasciarsi dominare dallo stesso male che si vorrebbe combattere”, affermava nel settembre 1998.
Aveva inoltre intuito che la coalizione ruando-ugandese, dopo aver appoggiato Kabila contro Mobutu e dopo aver dichiarato guerra allo stesso Kabila, mirava a distruggere la Chiesa cattolica perché in quanto istituzione esso costituiva il riferimento sociale imprescindibile per la popolazione, così come nel vicino Ruanda: il caso del processo a mons. Misago, poi prosciolto dalle accuse (Regno-att 14,2000,483), ne è stato un chiaro esempio. Intervenendo a favore del confratello ruandese, mons. Kataliko riconduceva le azioni d’intimidazione verso la Chiesa come parte di “una strategia che punta a distruggere ciò che è considerato dalla gente come sacro” e ciò allo scopo di “destrutturare un popolo minando fino alla radice la sua identità per sottometterla meglio” (maggio 1999; Regno-doc 19,1999,643). Dopo aver ribadito questi stessi concetti nella lettera pastorale per il Natale 1999, nel febbraio di quest’anno aveva dovuto subire una sorta darresto domiciliare (Regno-att. 8,2000,265) presso la sua diocesi natale di Butembo.
La diocesi di Bukavu era nel frattempo retta da un collegio di consultori, guidato dal vicario generale mons. Joseph Gwamuhanya. Il collegio ha avuto il merito di riuscire a gestire una situazione di forte tensione sociale e di mantenere vivo lo stile dell’arcivescovo, tramite una fitta serie di comunicati nei quali s’invitava la popolazione a un confronto serio ma pur sempre pacifico con le autorità locali e al mantenimento di un’intensa vita liturgica a livello parrocchiale e diocesano. Era stata anche presentata al governatore di Bukavu una petizione per il ritorno dell’arcivescovo, che aveva raccolto 60.000 firme (un quarto della popolazione della provincia).
Sradicare la Chiesa
Mons. Kataliko, grazie anche a numerose pressioni internazionali, aveva potuto rientrare in diocesi il 14 settembre scorso. Un ritorno trionfale, nonostante la notizia fosse stata resa nota all’ultimo momento. Dopo un saluto alla popolazione richiamata in cattedrale dal suono delle campane, mons. Kataliko aveva celebrato una solenne liturgia eucaristica la domenica 17 settembre davanti alla cattedrale, cui avevano partecipato 30-40.000 persone, 130 sacerdoti, il vescovo anglicano del Kivu e anche alcune autorità locali.
Il vicepresidente del Rassemblement congolais pour la démocratie di Goma (RCD-Goma) aveva però precisato: “Abbiamo effettivamente permesso al vescovo di ritornare, ma noi speriamo che durante i sette mesi dassenza abbia riflettuto sul suo atteggiamento nei confronti dell’unità dei nostri cittadini. Abbiamo chiaramente spiegato al vescovo che deve assolutamente smettere di predicare messaggi che possano provocare rivalità etniche e tribali”. Il clima d’intimidazione e repressione nei confronti della popolazione non si è in effetti allentato in questi mesi; parallelamente la guerra continua. Un dato confermato dai rapporti di organizzazioni come Amnesty International o Human rights Watch, che in maggio definiva “la situazione dei diritti umani nell’Est del Congo disastrosa”. Inoltre notizie mai smentite di rappresaglie contro civili, dell’ordine di centinaia di persone trucidate, si sono susseguite nel corso di tutto il 2000.
Kabila, per parte sua, ha impedito alla missione dosservatori dell’ONU di dispiegarsi nel territorio congolese. Inoltre il suo primo incontro dallo scoppio della guerra (agosto 1998), tenuto il 3 giugno, con Paul Kagame, presidente ruandese, si è concluso senza accordi. A loro volta le truppe ruandesi si sono scontrate con quelle ugandesi in violenti combattimenti a Kisangani, che hanno ridotto allo stremo la città tra i mesi di giugno e agosto.
Per quanto riguarda la Chiesa, la conferenza episcopale in un messaggio del 18 maggio da Roma sulla “situazione drammatica del popolo congolese e sull’occupazione del nostro paese”, poi in uno successivo da Kinshasa del 15 luglio, in occasione dell’Assemblea plenaria, è intervenuta in favore di mons. Kataliko e in generale per il ritiro degli eserciti stranieri dal proprio territorio. In quest’ultima occasione essa ha inoltre eletto il card. Frédéric Etsou a presidente al posto di mons. Faustin Ngabu, vescovo di Goma e mons. Kataliko a vicepresidente, nonostante la sua forzata assenza.
Le palme, la Pasqua
Al termine dell’Assemblea dei vescovi anche Kabila decideva di tenere in ostaggio il vescovo di Manono mons. Nestor Ngoy, (rilasciato il 21 settembre), la cui “colpa” era di provenire dalla città natale di Kabila e di essere parente del leader del RCD-Goma e principale rivale di Kabila, Emile Ilunga.
E contro il RCD-Goma si è scagliato mons. Mambe, il vescovo di Kindu che ha tenuto l’omelia nella celebrazione funebre che il SECAM aveva predisposto presso l’Università urbaniana il 5 ottobre. Mambe ha detto che il RCD-Goma ha “orchestrato una campagna di menzogne contro mons. Kataliko”, un difensore della pace, della giustizia e dei diritti umani, secondo lo spirito del versetto biblico “Noi non possiamo tacere” (At 4,20). Alla cerimonia affollata e commossa, è stata notata l’assenza di mons. Ngabu, vescovo di Goma, che, pur non partecipando ai lavori del SECAM era in Italia.
La notizia della morte dell’arcivescovo e l’arrivo del feretro a Bukavu hanno causato una forte tensione, che le autorità ruandesi hanno contribuito ad alimentare con un dispiegamento di quasi duemila militari. Vi sono stati incidenti il 5 ottobre che hanno provocato la morte di due ragazzini di 14 e 15 anni. Il vicario diocesano, mons. Gwamuhanya ha ribadito in un messaggio del giorno successivo che per “fedeltà al testamento spirituale [dell’arcivescovo] siamo invitati a continuare a vivere il suo messaggio di pace, di unità, di giustizia e di unità verso tutti nella non violenza così come a combattere il male attraverso il bene”.
Domenica 8 ottobre è giunta la salma accompagnata da un corteo di un centinaio di macchine. 100.000 persone si sono assiepate lungo i 34 chilometri che congiungono l’aeroporto alla città per salutare il proprio pastore, nonostante la pioggia e il fango: il corteo ha impiegato quattro ore per giungere a destinazione. A turno le sette parrocchie della diocesi hanno vegliato la salma in cattedrale fino al giorno del funerale, il martedì 10. Intanto un gruppo di militari di Bukavu ha fatto irruzione nella sede di un’associazione per i diritti umani, picchiando una decina di persone, accusandole di voler creare disordini in occasione del funerale.
Il martedì la folla si è riunita per le esequie. Erano presenti 200 sacerdoti, 8 vescovi, di cui 4 ruandesi, e tra essi anche mons. Misago; presenti i rappresentanti di tutte le confessioni religiose, il comandante dell’esercito del Kivu del Sud, il capo della sicurezza interna Bizima Karaha. Al termine della celebrazione, il vicario generale ha ringraziato “per tutte le testimonianze di solidarietà ricevute, non solo in questa circostanza, ma anche lungo tutta la salita verso Gerusalemme vissuta dal nostro vescovo; a partire dalla sua prigionia lunga sette mesi, dalle sue Palme il giorno del suo ritorno, fino alla Pasqua vissuta a Roma”. Ha inoltre reso grazie per il dono dell’unità che mons. Kataliko ha saputo portare alla Chiesa di Bukavu, per la sua testimonianza profetica, per il suo impegno per la pace e la verità. È stato poi sepolto come egli stesso aveva indicato accanto alla tomba di mons. Munzihirwa, nei pressi della cattedrale.
Un’annotazione finale. Meraviglia che il messaggio dell’Assemblea del SECAM non citi in nessun passaggio la morte del vescovo, mentre, al contrario, si premura di ricordare in apertura la canonizzazione dei martiri della Cina.
articolo tratto da “Il Regno”