Populorum progressio (Paolo VI – 1967) Prima parte / Pagina 2

2. La chiesa e lo sviluppo
 
L’opera dei missionari
 
12. Fedele all’insegnamento e all’esempio del suo divino Fondatore, che poneva «l’annuncio della buona novella ai poveri» (cf. Lc 7,22) quale segno della sua missione, la chiesa non ha mai trascurato di promuovere l’elevazione umana dei popoli ai quali portava la fede nel Cristo. I suoi missionari hanno costruito, assieme a chiese, centri di assistenza e ospedali, anche scuole e università. Insegnando agli indigeni il modo onde trarre miglior profitto dalle loro risorse naturali, li hanno spesso protetti dall’avidità degli stranieri. Senza dubbio la loro opera, per quel che v’è in essa di umano, non fu perfetta, e poté capitare che taluni mischiassero all’annuncio dell’autentico messaggio evangelico molti modi di pensare e di vivere propri del loro paese d’origine. Ma seppero anche coltivare le istituzioni locali e promuoverle. In parecchie regioni, essi sono stati i pionieri del progresso materiale come dello sviluppo culturale. Basti ricordare l’esempio del padre Carlo de Foucauld, che fu giudicato degno d’esse chiamato, per la sua carità, il «fratello universale», e al quale si deve la compilazione di un prezioso dizionario della lingua tuareg. È Nostro dovere rendere omaggio a questi precursori troppo spesso ignorati, uomini sospinti dalla carità di Cristo, così come ai loro emuli e successori che continuano ad essere, anche oggi, al servizio di coloro che evangelizzano.
 
Chiesa e mondo
 
13. Ma ormai le iniziative locali e individuali non bastano più. La situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità, la chiesa, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli stati, «non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità (cf. Gv 18,37), per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito (cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45)».(12) Fondata per porre fin da quaggiù le basi del regno dei cieli e non per conquistare un potere terreno, essa afferma chiaramente che i due domìni sono distinti, così come sono sovrani i due poteri, ecclesiastico e civile, ciascuno nel suo ordine.(13) Ma, vivente com’è nella storia, essa deve «scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce dell’evangelo».(14) In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle insoddisfatte, essa desidera aiutarli a raggiungere la loro piena fioritura, e a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell’uomo e dell’umanità.
 
Visione cristiana dello sviluppo
 
14. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: «noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera».(15)
 
Vocazione e crescita
 
15. Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione. Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare: il loro pieno svolgimento, frutto a un tempo dell’educazione ricevuta dall’ambiente e dello sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi verso il destino propostogli dal suo Creatore. Dotato d’intelligenza e di libertà, egli è responsabile della sua crescita, così come della sua salvezza. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo circondano, ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano su di lui, l’artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità, valere di più, essere di più.
 
Dovere personale e comunitario
 
16. Tale crescita della persona, del resto, non è facoltativa. Come tutta intera la creazione è ordinata al suo Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad orientare spontaneamente la sua vita verso Dio, verità prima e supremo bene. Così la crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri. Ma c’è di più: tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile, è chiamata a un superamento. Mediante la sua inserzione nel Cristo vivificatore, l’uomo accede a una dimensione nuova, a un umanesimo trascendente, che gli conferisce la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale.
 
17. Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità intera. Non questo o quell’uomo soltanto, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto, per noi è non solo un beneficio, ma altresì un dovere.
 
Scala dei valori
 
18. Siffatta crescita personale e comunitaria verrebbe compromessa ove si deteriorasse la vera scala dei valori. Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro per arrivarci è un dovere: «Se qualcuno si rifiuta di lavorare, non deve neanche mangiare» (2Ts 3,10). Ma l’acquisizione dei beni temporali può condurre alla cupidigia, al desiderio di avere sempre di più e alla tentazione di accrescere la propria potenza. L’avarizia delle persone, delle famiglie e delle nazioni può contagiare i meno abbienti come i più ricchi, e suscitare negli uni e negli altri un materialismo che soffoca lo spirito.
 
Crescita ambivalente
 
19. Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all’uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s’induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non s’incontrano più per amicizia, ma spinti dall’interesse, il quale ha buon giuoco nel metterli gli uni contro gli altri e nel disunirli. La ricerca esclusiva dell’avere diventa così un ostacolo alla crescita dell’essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come per le persone, l’avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale.
 
Verso una condizione più umana
 
20. Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un «umanesimo» nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori di amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione.(16) In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane.
 
L’ideale da perseguire
 
21. Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni. Più umane: l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà (cf. Mt 5,3), la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini.
 
3. L’opera da compiere
 
La destinazione universale dei beni
 
22. «Riempite la terra e assoggettatela» (Gn 1,28): la Bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario. Il recente concilio l’ha ricordato: «Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodoché i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità».(17) Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciarne, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria.
 
La proprietà
 
23. «Se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare in lui?» (1Gv 3,17). Si sa con quale fermezza i padri della chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: «Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi».(18) È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, «il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento dell’utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei padri della chiesa e dei grandi teologi». Ove intervenga un conflitto «tra diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali», spetta ai poteri pubblici «adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali».(19)
 
L’uso dei redditi
 
24. Il bene comune esige dunque talvolta l’espropriazione se, per via della loro estensione, del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria che ne deriva per le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del paese, certi possedimenti sono di ostacolo alla prosperità collettiva. Affermandolo in maniera inequivocabile,(20) il concilio ha anche ricordato non meno chiaramente che il reddito disponibile non è lasciato al libero capriccio degli uomini, e che le speculazioni egoiste devono essere bandite. Non è di conseguenza ammissibile che dei cittadini provvisti di redditi abbondanti, provenienti dalle risorse e dall’attività nazionale, ne trasferiscano una parte considerevole all’estero, a esclusivo vantaggio personale, senza alcuna considerazione del torto evidente ch’essi infliggono con ciò alla loro patria.(21)
 
L’industrializzazione
 
25. Necessaria all’accrescimento economico e al progresso umano, l’introduzione dell’industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso della responsabilità.
 
Capitalismo liberale
 
26. Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale «liberalismo» senza freno conduceva alla dittatura, a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell’«imperialismo internazionale del denaro».(22) Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l’economia è al servizio dell’uomo.(23) Ma se è vero che un certo «capitalismo» è stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa quei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l’accompagnava. Bisogna, al contrario, e per debito di giustizia, riconoscere l’apporto insostituibile dell’organizzazione del lavoro e del progresso industriale all’opera dello sviluppo.
 
Il lavoro e la sua ambivalenza
 
27. Così pure, se è vero che talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non è meno vero che questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua immagine, «l’uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e segnare a sua volta la terra dell’impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto».(24) Dio, che ha dotato l’uomo d’intelligenza, d’immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste, l’operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli.(25)
 
28. Senza dubbio ambivalente, dacché promette il denaro, il godimento e la potenza, invitando gli uni all’egoismo e gli altri alla rivolta, il lavoro sviluppa anche la coscienza professionale, il senso del dovere e la carità verso il prossimo. Più scientifico e meglio organizzato, esso rischia di disumanizzare il suo esecutore, divenuto suo schiavo, perché il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero. Giovanni XXIII ha ricordato l’urgenza di rendere al lavoratore la sua dignità, facendolo realmente partecipare all’opera comune: «Bisogna tendere a far sì che l’impresa diventi una comunità di persone, nelle funzioni e nella situazione di tutti i suoi componenti».(26) La fatica degli uomini ha poi per il cristiano un significato ben maggiore, avendo essa anche la missione di collaborare alla creazione del mondo soprannaturale,(27) che resta incompiuto fino a che non saremo pervenuti tutti insieme a costituire quell’Uomo perfetto di cui parla san Paolo, «che realizza la pienezza del Cristo» (Ef 4,13).
 
L’urgenza dell’opera da compiere
 
29. Bisogna affrettarsi: troppi uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri. Bisogna altresì che l’opera da svolgere progredisca armonicamente, pena la rottura di equilibri indispensabili. Una riforma agraria improvvisata può fallire al suo scopo. Una industrializzazione precipitosa può dissestare strutture ancora necessarie e generare miserie sociali che costituirebbero un passo indietro dal punto di vista dei valori umani.
 
Tentazione della violenza
 
30. Si danno, certo, situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana.
 
Rivoluzione
 
31. E tuttavia sappiamo che l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
 
Riforma
 
32. Ma desideriamo che il nostro pensiero venga rettamente inteso: la situazione presente dev’essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie, che essa comporta, combattute e vinte. Lo sviluppo esige trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese senza indugio. A ciascuno l’assumersi generosamente la sua parte, soprattutto a quelli che per la loro educazione, la loro situazione, il loro potere si trovano ad avere grandi possibilità d’azione. Pagando esemplarmente di persona, essi non esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto diversi dei Nostri fratelli nell’episcopato.(28) Risponderanno così all’attesa degli uomini e saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è «il fermento evangelico che ha suscitato e suscita nel cuore umano un’esigenza incoercibile di dignità».(29)
 
Programmi e pianificazione al servizio dell’uomo
 
33. La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono dunque necessari programmi per «incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare»(30) l’azione degli individui e dei corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici scegliere, o anche imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi; tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune. Ma devono aver cura di associare a quest’opera le iniziative dei privati e i corpi intermedi, evitando in tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono, escluderebbero l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana.
 
34. Giacché ogni programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha in definitiva altra ragion d’essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l’uomo dalle sue servitù, renderlo capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualcosa che investe tanto il progresso sociale che la crescita economica. Non basta accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare. Coloro che sono sulla via dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno sperimentato prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo. La tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo ch’esse devono servire. E l’uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze.
 
Alfabetizzazione
 
35. Si può affermare che la crescita economica è legata innanzitutto al progresso sociale ch’essa è in grado di suscitare, e che l’educazione di base è il primo obiettivo d’un piano di sviluppo. La fame d’istruzione non è in realtà meno deprimente della fame di alimenti: un analfabeta è uno spirito sotto alimentato. Saper leggere e scrivere, acquistare una formazione professionale è riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può progredire insieme con gli altri. Come dicevamo nel nostro messaggio al Congresso dell’UNESCO [del 1965] a Teheran, l’alfabetizzazione è per l’uomo «un fattore primordiale d’integrazione sociale così come di arricchimento personale, e per la società uno strumento privilegiato di progresso economico e di sviluppo».(31) Vogliamo anche rallegrarci del buon lavoro svolto in questo campo ad opera di iniziative private, di poteri pubblici e di organizzazioni internazionali: sono i primi artefici dello sviluppo, perché mirano a rendere l’uomo atto a farsene egli stesso protagonista.
 
Famiglia
 
36. Ma l’uomo non è se stesso che nel suo ambiente sociale, nel quale la famiglia gioca un ruolo primordiale. Ruolo che, secondo i tempi e i luoghi, ha potuto anche essere eccessivo, quando si è esercitato a scapito di libertà fondamentali della persona. Spesso troppo rigide e male organizzate, le vecchie strutture sociali dei paesi in via di sviluppo sono tuttavia necessarie ancora per un certo tempo, pur in un processo di progressivo allentamento del loro dominio esagerato. Ma la famiglia naturale, monogamica e stabile, quale è stata concepita nel disegno divino (cf. Mt 19,6) e santificata dal cristianesimo, deve restare «luogo d’incontro di più generazioni che si aiutano vicendevolmente ad acquistare una saggezza più grande e ad armonizzare i diritti delle persone con le altre esigenze della vita sociale».(32)
 
Demografia
 
37. È vero che troppo spesso una crescita demografica accelerata aggiunge nuove difficoltà ai problemi dello sviluppo: il volume della popolazione aumenta più rapidamente delle risorse disponibili e ci si trova apparentemente chiusi in un vicolo cieco. Per cui, è grande la tentazione di frenare l’aumento demografico per mezzo di misure radicali. È certo che i poteri pubblici, nell’ambito della loro competenza, possono intervenire, mediante la diffusione di un’appropriata informazione e l’adozione di misure opportune, purché siano conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia: perché il diritto al matrimonio e alla procreazione è un diritto inalienabile, senza del quale non si dà dignità umana. Spetta in ultima istanza ai genitori decidere, con piena cognizione di causa, sul numero dei loro figli, prendendo le loro responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai figli che già hanno messo al mondo, e davanti alla comunità alla quale appartengono, seguendo i dettami della loro coscienza illuminata dalla legge di Dio, autenticamente interpretata, e sorretta dalla fiducia in lui.(33)
 
Organizzazioni professionali
 
38. Nell’opera dello sviluppo l’uomo, che trova nella famiglia il suo ambiente di vita primordiale, è spesso aiutato da organizzazioni professionali. Se la loro ragion d’essere è di promuovere gli interessi dei loro associati, la loro responsabilità è grande in rapporto alla funzione educativa ch’esse possono e debbono nel contempo svolgere. Attraverso l’informazione che forniscono, la formazione che offrono, esse possono molto per dare a tutti il sentimento del bene comune e delle obbligazioni che esso comporta per ciascuno.
 
Pluralismo legittimo
 
39. Ogni azione sociale implica una dottrina. Il cristiano non può ammettere quella che suppone una filosofia materialistica e atea, che non rispetta né l’orientamento religioso della vita verso il suo fine ultimo, né la libertà e la dignità umana. Ma, purché siano salvaguardati questi valori, un pluralismo di organizzazioni professionali e sindacali è ammissibile e, da certi punti di vista, utile, se serve a proteggere la libertà e a provocare l’emulazione. E di gran cuore Noi rendiamo omaggio a tutti coloro che vi lavorano al servizio disinteressato dei fratelli.
 
Formazione culturale
 
40. Oltre le organizzazioni professionali sono altresì all’opera le istituzioni culturali, il cui ruolo non è di minor peso per la riuscita dello sviluppo. «L’avvenire del mondo sarebbe in pericolo – afferma gravemente il concilio -, se la nostra epoca non sapesse far emergere dal suo seno uomini dotati di sapienza». E aggiunge: «Numerosi paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza, potranno dare un potente aiuto agli altri su questo punto».(34) Ricco o povero, ogni paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate: istituzioni richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni superiori – artistiche, intellettuali e religiose – della vita dello spirito. Quando queste contengono dei veri valori umani, sarebbe grave errore sacrificarle a quelle. Un popolo che consentisse a tanto perderebbe con ciò stesso il meglio di sé: sacrificherebbe, per vivere, le sue ragioni di vita. L’ammonimento del Cristo vale anche per i popoli: «Che cosa servirebbe all’uomo guadagnare l’universo, se poi perde l’anima?» (Mt 16,26).
 
Tentazione materialistica
 
41. I popoli poveri non staranno mai troppo in guardia contro questa tentazione che viene loro dai popoli ricchi, i quali offrono troppo spesso, insieme con l’esempio del loro successo nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un modello di attività tesa prevalentemente alla conquista della prosperità materiale. Non che quest’ultima costituisca per se stessa un ostacolo all’attività dello spirito, il quale anzi, reso così «meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all’adorazione e alla contemplazione del Creatore».(35) Tuttavia «la civiltà moderna, non certo per sua natura intrinseca, ma perché si trova soverchiamente irretita nelle realtà terrestri, può rendere spesso più difficile l’accesso a Dio».(36) In quanto viene loro proposto, i popoli in via di sviluppo devono dunque saper fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi beni che porterebbero con sé un abbassamento dell’ideale umano, accettare i valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il proprio genio particolare.
 
 
Conclusione
 
Verso un umanesimo plenario
 
42. È un umanesimo plenario che occorre promuovere.(37) Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma «senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano».(38) Non v’è dunque umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana. Lungi dall’essere la norma ultima dei valori, l’uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l’espressione così giusta di Pascal: «L’uomo supera infinitamente l’uomo».(39)
 
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