21. Ciò si verifica con effetto particolarmente negativo nelle relazioni internazionali, che riguardano i Paesi in via di sviluppo. Infatti, com’è noto, la tensione tra Oriente ed Occidente non riguarda di per sé un’opposizione tra due diversi gradi di sviluppo, ma piuttosto tra due concezioni dello sviluppo stesso degli uomini e dei popoli, entrambe imperfette e tali da esigere una radicale correzione. Detta opposizione viene trasferita in seno a quei Paesi, contribuendo così ad allargare il fossato, che già esiste sul piano economico tra Nord e Sud ed e conseguenza della distanza tra i due mondi più sviluppati e quelli meno sviluppati. É, questa, una delle ragioni per cui la dottrina sociale della Chiesa assume un atteggiamento critico nei confronti sia del capitalismo liberista sia del collettivismo marxista. Infatti, dal punto di vista dello sviluppo viene spontanea la domanda: in qual modo o in che misura questi due sistemi sono suscettibili di trasformazioni e di aggiornamenti, tali da favorire o promuovere un vero ed integrale sviluppo dell’uomo e dei popoli nella società contemporanea? Di fatto, queste trasformazioni e aggiornamenti sono urgenti e indispensabili per la causa di uno sviluppo comune a tutti.
I Paesi di recente indipendenza, che, sforzandosi di conseguire una propria identità culturale e politica, avrebbero bisogno del contributo efficace e disinteressato dei Paesi più ricchi e sviluppati, si trovano coinvolti – e talora anche travolti – nei conflitti ideologici, che generano inevitabili divisioni al loro interno, fino a provocare in certi casi vere guerre civili. Ciò anche perché gli investimenti e gli aiuti allo sviluppo sono spesso distolti dal proprio fine e strumentalizzati per alimentare i contrasti, al di fuori e contro gli interessi dei Paesi che dovrebbero beneficiarne. Molti di questi diventano sempre più consapevoli del pericolo di cadere vittime di un neo-colonialismo e tentano di sottrarvisi. É tale consapevolezza che ha dato origine, pur tra difficoltà, oscillazioni e talvolta contraddizioni, al Movimento internazionale dei Paesi non allineati, il quale, in ciò che ne forma la parte positiva, vorrebbe effettivamente affermare il diritto di ogni popolo alla propria identità, alla propria indipendenza e sicurezza, nonché alla partecipazione, sulla base dell’eguaglianza e della solidarietà, al godimento dei beni che sono destinati a tutti gli uomini.
22. Fatte queste considerazioni, riesce agevole avere una visione più chiara del quadro degli ultimi venti anni e comprender meglio i contrasti esistenti nella parte Nord del mondo, cioè tra Oriente e Occidente, quale causa non ultima del ritardo o del ristagno del Sud. I Paesi in via di sviluppo, più che trasformarsi in Nazioni autonome, preoccupate del proprio cammino verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a tutti, diventano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non tengono sempre nella dovuta considerazione le priorità ed i problemi propri di questi Paesi né rispettano la loro fisionomia culturale, ma non di rado impongono una visione distorta della vita e dell’uomo e cosi non rispondono alle esigenze del vero sviluppo.
Ognuno dei due blocchi nasconde dentro di sé, a suo modo, la tendenza all’imperialismo, come si dice comunemente, o a forme di neo-colonialismo: tentazione facile, nella quale non di rado si cade, come insegna la storia anche recente. É questa situazione anormale – conseguenza di una guerra e di una preoccupazione ingigantita, oltre il lecito, da motivi della propria sicurezza – che mortifica lo slancio di cooperazione solidale di tutti per il bene comune del genere umano, a danno soprattutto di popoli pacifici, bloccati nel loro diritto di accesso ai beni destinati a tutti gli uomini. Vista così, la presente divisione del mondo è di diretto ostacolo alla vera trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei Paesi in via di sviluppo o in quelli meno avanzati. I popoli, però, non sempre si rassegnano alla loro sorte. Inoltre, gli stessi bisogni di un’economia soffocata dalle spese militari, come dal burocratismo e dall’intrinseca inefficienza, sembrano adesso favorire dei processi che potrebbero rendere meno rigida la contrapposizione e più facile l’avvio di un proficuo dialogo e di una vera collaborazione per la pace.
23. L’affermazione dell’Enciclica Populorum Progressio, secondo cui le risorse e gli investimenti destinati alla produzione delle armi debbono essere impiegati per alleviare la miseria delle popolazioni indigenti, (41) rende più urgente l’appello a superare la contrapposizione tra i due blocchi. Oggi, in pratica tali risorse servono a mettere ciascuno dei due blocchi in condizione di potersi avvantaggiare sull’altro, e garantire così la propria sicurezza. Questa distorsione, che è un vizio d’origine, rende difficile a quelle Nazioni, che sotto l’aspetto storico, economico e politico hanno la possibilità di svolgere un ruolo di guida, l’adempiere adeguatamente il loro dovere di solidarietà in favore dei popoli che aspirano al pieno sviluppo. É qui opportuno affermare, e non sembri un’esagerazione, che una funzione di guida tra le Nazioni si può giustificare solo con la possibilità e la volontà di contribuire, in maniera ampia e generosa, al bene comune. Una Nazione che cedesse, più o meno consapevolmente, alla tentazione di chiudersi in se stessa, venendo meno alle responsabilità conseguenti ad una superiorità nel concerto delle Nazioni, mancherebbe gravemente ad un suo preciso dovere etico. E questo e facilmente ravvisabile nella contingenza storica, nella quale i credenti intravedono le disposizioni della divina Provvidenza, pronta a servirsi delle Nazioni per la realizzazione dei suoi progetti, così come a rendere «vani i disegni dei popoli» (Sal32,10). Quando l’Occidente dà l’impressione di abbandonarsi a forme di crescente ed egoistico isolamento, e l’Oriente a sua volta, sembra ignorare per discutibili motivi il dovere di cooperazione nell’impegno di alleviare la miseria dei popoli, non ci si trova soltanto di fronte ad un tradimento delle legittime attese dell’umanità, foriero di imprevedibili conseguenze ma ad una vera e propria defezione rispetto ad un obbligo morale.
24. Se la produzione delle armi è un grave disordine che regna nel mondo odierno rispetto alle vere necessità degli uomini e all’impiego dei mezzi adatti a soddisfarle, non lo è meno il commercio delle stesse armi. Anzi, a proposito di questo, è necessario aggiungere che il giudizio morale è ancora più severo. Come si sa, si tratta di un commercio senza frontiere capace di oltrepassare perfino le barriere dei blocchi. Esso sa superare la divisione tra Oriente e Occidente e, soprattutto, quella tra Nord e Sud sino a inserirsi – e questo è più grave – tra le diverse componenti della zona meridionale del mondo. Ci troviamo così di fronte a uno strano fenomeno: mentre gli aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono nell’ostacolo di barriere ideologiche insuperabili, di barriere tariffarie e di mercato, le armi di qualsiasi provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie parti del mondo. E nessuno ignora – come rileva il recente Documento della Pontificia Commissione Iustitia et Pax sul debito internazionale (42) – che in certi casi i capitali, dati in prestito dal mondo dello sviluppo, son serviti ad acquistare armamenti nel mondo non sviluppato. Se a tutto questo si aggiunge il pericolo tremendo, universalmente conosciuto, rappresentato dalle armi atomiche accumulate fino all’incredibile, la conclusione logica appare questa: il panorama del mondo odierno, compreso quello economico, anziché rivelare preoccupazione per un vero sviluppo che conduca tutti verso una vita «più umana» – come auspicava l’Enciclica Populorum Progressio (43) -, sembra destinato ad avviarci più rapidamente verso la morte. Le conseguenze di tale stato di cose si manifestano nell’acuirsi di una piaga tipica e rivelatrice degli squilibri e dei conflitti del mondo contemporaneo: i milioni di rifugiati, a cui guerre, calamità naturali, persecuzioni e discriminazioni di ogni tipo hanno sottratto la casa, il lavoro, la famiglia e la patria. La tragedia di queste moltitudini si riflette nel volto disfatto di uomini, donne e bambini, che, in un mondo diviso e divenuto inospitale, non riescono a trovare più un focolare.
Né si possono chiudere gli occhi su un’altra dolorosa piaga del mondo odierno: il fenomeno del terrorismo, inteso come proposito di uccidere e distruggere indistintamente uomini e beni e di creare appunto un clima di terrore e di insicurezza, spesso anche con la cattura di ostaggi. Anche quando si adduce come motivazione di questa pratica inumana una qualsiasi ideologia o la creazione di una società migliore, gli atti di terrorismo non sono mai giustificabili. Ma tanto meno lo sono quando, come accade oggi, tali decisioni e gesti, che diventano a volte vere stragi, certi rapimenti di persone innocenti ed estranee ai conflitti si prefiggono un fine propagandistico a vantaggio della propria causa; ovvero, peggio ancora, sono fine a se stessi, sicché si uccide soltanto per uccidere. Di fronte a tanto orrore e a tanta sofferenza mantengono sempre il loro valore le parole che ho pronunciato alcuni anni fa e che vorrei ripetere ancora: «Il Cristianesimo proibisce […] il ricorso alle vie dell’odio, all’assassinio di persone indifese, ai metodi del terrorismo». (44)
25. A questo punto occorre fare un riferimento al problema demografico ed al modo di parlarne oggi, seguendo quanto Paolo VI ha indicato nell’Enciclica (45) ed io stesso ho esposto diffusamente nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio. (46) Non si può negare l’esistenza, specie nella zona Sud del nostro pianeta, di un problema demografico tale da creare difficoltà allo sviluppo. É bene aggiungere subito che nella zona Nord questo problema si pone con connotazioni inverse: qui, a preoccupare, è la caduta del tasso di natalità, con ripercussioni sull’invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente. Fenomeno, questo, in grado di ostacolare di per sé lo sviluppo. Come non è esatto affermare che tali difficoltà provengono soltanto dalla crescita demografica, così non è neppure dimostrato che ogni crescita demografica sia incompatibile con uno sviluppo ordinato.
D’altra parte, appare molto allarmante costatare in molti Paesi il lancio di campagne sistematiche contro la natalità per iniziativa dei loro governi, in contrasto non solo con l’identità culturale e religiosa degli stessi Paesi, ma anche con la natura del vero sviluppo. Avviene spesso che tali campagne sono dovute a pressioni e sono finanziate da capitali provenienti dall’estero e, in qualche caso, ad esse sono addirittura subordinati gli aiuti e l’assistenza economico-finanziaria. In ogni caso, si tratta di assoluta mancanza di rispetto per la libertà di decisione delle persone interessate, uomini e donne, sottoposte non di rado a intolleranti pressioni, comprese quelle economiche, per piegarle a questa forma nuova di oppressione. Sono le popolazioni più povere a subirne i maltrattamenti: e ciò finisce con l’ingenerare, a volte, la tendenza a un certo razzismo, o col favorire l’applicazione di certe forme, egualmente razzistiche, di eugenismo. Anche questo fatto, che reclama la condanna più energica, è indizio di un concetto errato e perverso del vero sviluppo umano.
26. Simile panorama prevalentemente negativo, della reale situazione dello sviluppo del mondo contemporaneo, non sarebbe completo se non si segnalasse la coesistenza di aspetti positivi.
La prima nota positiva è la piena consapevolezza, in moltissimi uomini e donne, della dignità propria e di ciascun essere umano. Tale consapevolezza si esprime, per esempio, con la preoccupazione dappertutto più viva per il rispetto dei diritti umani e col più deciso rigetto delle loro violazioni. Ne è segno rivelatore il numero delle associazioni private, alcune di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato. Su questo piano bisogna riconoscere l’influsso esercitato dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, promulgata circa quaranta anni fa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. La sua stessa esistenza e la sua progressiva accettazione da parte della comunità internazionale sono già segno di una consapevolezza che si va affermando. Lo stesso bisogna dire, sempre nel campo dei diritti umani, per gli altri strumenti giuridici della medesima Organizzazione delle Nazioni Unite o di altri Organismi internazionali. (47) La consapevolezza, di cui parliamo, non va riferita soltanto agli individui, ma anche alle Nazioni e ai popoli, che, quali entità aventi una determinata identità culturale, sono particolarmente sensibili alla conservazione, alla libera gestione e alla promozione del loro prezioso patrimonio.
Contemporaneamente, nel mondo diviso e sconvolto da ogni tipo di conflitti, si fa strada la convinzione di una radicale interdipendenza e, per conseguenza, la necessità di una solidarietà che la assuma e traduca sul piano morale. Oggi forse più che in passato, gli uomini si rendono conto di essere legati da un comune destino, da costruire insieme, se si vuole evitare la catastrofe per tutti. Dal profondo dell’angoscia, della paura e dei fenomeni di evasione come la droga, tipici del mondo contemporaneo, emerge via via l’idea che il bene, al quale siamo tutti chiamati, e la felicità, a cui aspiriamo, non si possono conseguire senza lo sforzo e l’impegno di tutti, nessuno escluso, e con la conseguente rinuncia al proprio egoismo.
Qui s’inserisce anche, come segno del rispetto per la vita – nonostante tutte le tentazioni di distruggerla, dall’aborto all’eutanasia -, la preoccupazione concomitante per la pace; e, di nuovo, la coscienza che questa è indivisibile: o è di tutti, o non è di nessuno. Una pace che esige sempre più il rispetto rigoroso della giustizia e, conseguentemente, l’equa distribuzione dei frutti del vero sviluppo. (48)
Tra i segnali positivi del presente occorre registrare ancora la maggiore consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili, la necessità di rispettare l’integrità e i ritmi della natura e di tenerne conto nella programmazione dello sviluppo, invece di sacrificarlo a certe concezioni demagogiche dello stesso. É quella che oggi va sotto il nome di preoccupazione ecologica. É giusto riconoscere pure l’impegno di uomini di governo, politici, economisti, sindacalisti, personalità della scienza e funzionari internazionali – molti dei quali ispirati dalla fede religiosa – a risolvere generosamente, con non pochi sacrifici personali, i mali del mondo e ad adoperarsi con ogni mezzo, perché un sempre maggior numero di uomini e donne possa godere del beneficio della pace e di una qualità di vita degna di questo nome. A ciò contribuiscono in non piccola misura le grandi Organizzazioni internazionali ed alcune Organizzazioni regionali, i cui sforzi congiunti consentono interventi di maggiore efficacia. É stato anche per questi contributi che alcuni Paesi del Terzo Mondo, nonostante il peso di numerosi condizionamenti negativi, sono riusciti a raggiungere una certa autosufficienza alimentare, o un grado di industrializzazione che consente di sopravvivere degnamente e di garantire fonti di lavoro alla popolazione attiva. Pertanto, non tutto è negativo nel mondo contemporaneo, e non potrebbe essere altrimenti, perché la Provvidenza del Padre celeste vigila con amore perfino sulle nostre preoccupazioni quotidiane (Mt6,25); (Mt10,23); (Lc12,6); (Lc22,1); anzi i valori positivi, che abbiamo rilevato, attestano una nuova preoccupazione morale soprattutto in ordine ai grandi problemi umani, quali sono lo sviluppo e la pace. Questa realtà mi spinge a portare la riflessione sulla vera natura dello sviluppo dei popoli, in linea con l’Enciclica di cui celebriamo l’anniversario, e come omaggio al suo insegnamento.